Dall’abisso della colpa alla luce del perdono
Talora la paura dei peccati che scopro in me stesso mi dispera, talvolta invece la speranza della tua misericordia mi sostiene. Ma perché la tua misericordia è più grande della mia miseria, io non cesserò di sperare». Ho soffiato via la polvere del linguaggio quattrocentesco di fra Girolamo Savonarola in un passo di un suo sermone che cito per introdurre un Salmo degno dello spirito del Giubileo, che ha nel cuore proprio il tema della misericordia e del perdono divino. Si tratta del Salmo 130, il notissimo De profundis, che l’uso popolare ha legato soprattutto alla commemorazione dei defunti, la solennità che celebriamo in questa domenica.
In realtà, questi pochi versi, che nell’originale ebraico comprendono solo 52 parole, dipingono un’altra morte e risurrezione, quella del peccatore. Si parte, dunque, dal girone infernale del male e della colpa ove echeggia il grido dell’orante che lancia la sua voce verso l’alto, verso un orecchio che si chini ad ascoltare. C’è un sorprendente timore in questa supplica. Esso non nasce dalla paura del castigo ma, paradossalmente, dalla bontà di Dio che perdona. È più amaro e terribile colpire un padre amoroso che un sovrano implacabile: «Con te è il perdono, così avremo il tuo timore» (v. 4).
Scatta, allora, la speranza di quel dono che cancella la colpa: «Io spero, Signore. Spera l’anima mia, attendo la sua parola» (v. 5). Essa è raffigurata attraverso una scena notturna: una ronda di sentinelle sta perlustrando le vie deserte della città con una tensione che afferra cuore e mente. Si aspetta che le ore scorrano e si profili la prima lama di luce all’orizzonte a indicare l’alba. Ed ecco alla fine il sole di Dio che si stende non solo sull’orante ma su tutto il popolo ed è lo splendore del perdono misericordioso: «Con il Signore è la misericordia, grande è con lui la redenzione» (v. 7). Sbocciato dalla profondità oscura del male a dal cuore oppresso dalla consapevolezza del peccato, il Salmo raggiunge alla fine l’orizzonte luminoso di Dio ove brillano perdono e grazia.
Certo, la giustizia ha le sue esigenze e non si deve ignorare il giudizio, ma l’ultima parola che Dio desidera pronunciare è quella della misericordia. Il celebre binomio del romanzo di Dostoevskij “delitto e castigo”, nel messaggio di questo Salmo ma anche dello stesso Gesù, si trasforma in un trinomio: “delitto, castigo e perdono”. È ciò che dovrebbe essere attuato anche nella giustizia umana, le cui pene dovrebbero essere inflitte non per la sola punizione ma anche per la redenzione del colpevole, realtà che purtroppo è smentita spesso da un sistema carcerario umiliante e senza speranza.
C o n c l u d i a m o , però, la nostra meditazione su questo Salmo “giubilare” con uno sguardo aperto al dialogo interreligioso. Una mistica musulmana dell’VIII sec., Rabi‘a di Bassora (Iraq), un giorno incontrò un uomo che le confessò: «Ho commesso tanti peccati. Se mi pento, Dio mi perdonerà?». Rabi‘a rispose: «No, tu ti pentirai, quando egli ti perdonerà». I nostri peccati, infatti, ci saranno pienamente rivelati da Dio nel momento stesso in cui ci saranno perdonati.
30.10.2025
Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana