Superare i confini

Alle vostre spiagge arrivammo in pochi a nuoto. Che razza di uomini è mai questa con un comportamento così barbaro? Ci negano l’asilo, ci fanno guerra, ci vietano di soggiornare sulla riva del mare. Se non avete rispetto degli uomini sappiate che Dio ricorda ciò che è sacro e ciò che è sacrilego». Non sono righe scritte da un’organizzazione umanitaria attuale: è, invece, nientemeno che Virgilio nell’Eneide (I, 538-543), mentre rievoca l’approdo drammatico degli esuli di Troia sulle coste di Cartagine, e il grande poeta sta vergando questi versi nel I sec. a.C.

Potevamo citare le parole severe del Cristo giudice nella scena grandiosa dell’assise finale descritta da Matteo: «Ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito» (25,43). La testimonianza di un pagano, però, ci mostra come sia universale il dovere di un’accoglienza del profugo e dello straniero, espressione di una solidarietà umana, purtroppo violata dall’indifferenza, dall’egoismo e persino da una certa crudeltà che pervadono ampi strati della nostra società e della stessa politica.

Abbiamo proposto questo tema – così caro alla nostra comunità ecclesiale su impulso dell’insegnamento costante di papa Francesco – perché nell’attuale domenica si celebra il Giubileo dei migranti. Non dobbiamo dimenticare che lo stesso cristianesimo ha nella biografia iniziale del suo fondatore proprio un’esperienza analoga a quella cantata da Virgilio: il piccolo Gesù coi suoi geni tori è profugo attraverso il mare del deserto verso una terra di riparo, l’Egitto. Lo stesso suo popolo d’origine, Israele, aveva alla base della sua storia e della sua fede un esodo, ossia una fuga da una vita misera da schiavi sotto il regime faraonico verso la terra della libertà sperata ma da conquistare aspramente.

Sarebbero da rileggere alcune pagine dell’enciclica Fratelli tutti, emessa il 3 ottobre 2020 proprio ad Assisi, «presso la tomba di san Francesco, vigilia della Festa del Poverello», in particolare i cc. 3-6, posti all’insegna del «pensare e generare un mondo aperto, un cuore aperto al mondo intero». Si tratta di spezzare i chiavistelli delle porte serrate di un «mondo chiuso». Il Papa dedica un appassionato paragrafo (n. 130) ai fenomeni migratori, ribadendo una tetralogia di verbi a lui cara: «Accogliere, proteggere, promuovere, integrare».

È la proposta evangelica che ha una dimensione non solo geografica ma soprattutto esistenziale, capace di superare tante frontiere di ogni genere erette dall’egoismo, dalle paure, dai nazionalismi. Anche perché – il Pontefice cita il suo predecessore san Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus (1991) – «Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno».

Abbiamo iniziato con un poeta pagano, concludiamo con uno scrittore agnostico, l’islandese Jón Kalman Stefánsson nel suo romanzo Il mio sottomarino giallo (Iperborea 2024). «Il vento non conosce frontiere, il suo soffio le attraversa, i doganieri non possono farci niente. Le burrasche, gli uccelli del cielo, le mosche, i ragni, i serpenti, il tempo, i ricordi attraversano le frontiere senza dover presentare il passaporto e tutte le armi e i dispositivi di sorveglianza costruiti per delimitarsi e preservarsi non servono a niente».


04.09.2025



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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