Tre percorsi nella Bibbia

Facciamo silenzio prima di ascoltare la Parola di Dio perché i nostri pensieri siano già rivolti alla Parola. Facciamo silenzio dopo l’ascolto della Parola perché questa ci parla ancora, vive e dimora in noi. Facciamo silenzio la mattina presto perché Dio deve avere la prima parola. Facciamo silenzio prima di coricarci perché l’ultima parola appartiene a Dio. Facciamo silenzio solo per amore della Parola». È la voce di un martire del nazismo nel 1945, il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer, a suggerire questo alone di silenzio per l’ascolto autentico e vitale della Parola di Dio.

In questo fine settimana si celebra il Giubileo dei catechisti, il cui annuncio deve avere come anima proprio la Bibbia, «lampada per i passi e luce sul cammino» del credente (Salmo 119,105). Come sanno i lettori di Famiglia Cristiana, per decenni nelle pagine della rivista hanno incontrato la mia firma sotto articoli dedicati quasi sempre alle Sacre Scritture, sulla scia anche di una vita che mi ha visto impegnato nell’insegnamento e nella diffusione della Parola di Dio. Difficile è, perciò, aggiungere altro se non stimolare sacerdoti, catechisti e fedeli a tenere sul loro tavolo quel mosaico sacro.

Infatti, l’Antico Testamento comprende 46 libri di differenti lingue, qualità ed estensione. Mentre il Nuovo ne accoglie 27 in lingua greca. È, quindi, indispensabile un primo percorso nell’accostamento del testo sacro, quello dell’esegesi e dell’interpretazione. Se Cristo, il Verbo di Dio, divenne «carne» (Giovanni 1,14), così la Parola divina si esprime in parole umane da studiare e comprendere nell’autenticità del loro messaggio. Bisogna, perciò, evitare i due scogli del letteralismo fondamentalista e della libera allegoria spiritualeggiante. Questo è possibile farlo attraverso la ricchissima messe delle introduzioni e dei commenti esegetici.

Da questo primo, necessario e fondamentale approccio, parte il secondo percorso che denominiamo con una titolatura ormai diffusa, lectio divina, il cui metodo principale è stato coniato già nel XII sec. dal monaco Guigo il Certosino e che potrebbe essere strutturato in quattro tappe. Innanzitutto è necessaria la lectio, la lettura del testo con la strumentazione a cui prima alludevamo: è ciò che la Bibbia dice in sé e di Dio. Segue la meditatio: è ciò che la Parola divina dice a me, riflettendo sulla pagina letta.

Subentra l’oratio, ed è ciò che io dico a Dio dopo aver letto, ascoltato e meditato la sua Parola. Infine, ecco l’actio: è l’impegno che il fedele si assume nella sua esistenza attuando il messaggio letto, meditato, pregato. È ciò che accadde ai primi cristiani che, dopo aver ascoltato la Parola, «si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli apostoli: Che cosa dobbiamo fare, fratelli?» (Atti 2,37).

Al terzo e ultimo percorso, quello culturale, aperto a credenti e non credenti, riserviamo solo un cenno. Confesso di aver dedicato a esso infinite conferenze e scritti, e anche in queste pagine ho riservato non di rado spazio a un simile approccio. La Bibbia, infatti, è stata per secoli «il grande codice della cultura occidentale», come è stato spesso dichiarato, attraverso le sue narrazioni, i personaggi, le immagini, i simboli, i temi, l’etica (si pensi solo al Decalogo). Un grande artista come Marc Chagall affermava: «Per secoli i pittori hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato della speranza che è la Bibbia».

 

 

 


25.09.2025



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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