La grande abbuffata

Era intitolato in francese La grande bouffe, la grande abbuffata, il film che il regista Marco Ferreri girò nel 1973, nel quale quattro amici decidevano di ritirarsi in una villa decrepita parigina per porre fine alla loro vita attraverso un’orgia estrema di cibo e di sesso. Era una terribile parabola di morte che usava come simbolo proprio il vizio della gola che stiamo descrivendo già da qualche puntata della nostra rubrica di taglio morale.

Continuando la metafora cinematografica, scegliamo di allestire – quasi in un filmato – una serie di scene bibliche che giudicano questa sregolatezza. Essa, come è noto, ha conquistato anche la letteratura: pensiamo a Ciacco, condannato da Dante «per la dannosa colpa della gola» (Inferno VI, 52-54); oppure al famoso romanzo Gargantua e Pantagruel dello scrittore francese cinquecentesco François de Rabelais. L’arte nei secoli è stata conquistata dal banchetto sacrilego di Baldassar, l’ultimo re babilonese, descritto nel c. 5 del libro di Daniele. È un’orgia consumata coi vasi sacri asportati dal tempio di Gerusalemme, con vini raffinati e portate luculliane, con principi, moglie e concubine. Ma alla fine, ecco una mano misteriosa che sulla parete scrive tre parole aramaiche, sintesi di una condanna inappellabile.

Terribile è l’esito sanguinario di un altro festino, quello organizzato dal generale Oloferne, comandante in capo dell’armata del re Nabucodonosor in onore di Giuditta, l’affascinante eroina ebrea dell’omonimo libro biblico. Nella notte «tutti sono stremati per il bere eccessivo. Nella sua tenda Oloferne è stravaccato sul divano, ubriaco fradicio, mentre Giuditta è sola con lui… Essa si avvicinò, staccò la scimitarra del generale, afferrò la testa di lui per la chioma e con la forza di cui era capace inflisse due fendenti al collo staccandogli di netto la testa» (si legga Giuditta 12,10-13,10). Il giudizio divino è affidato a una figura considerata allora marginale e inetta come quella femminile, capace invece di trionfare sulla volgarità, l’intemperanza e l’arroganza di un guerriero smodato.

Il nostro obiettivo può spostarsi su un’altra scena tratteggiata da una parabola del Vangelo di Luca (16,19-31). È quella cosiddetta del «ricco epulone» che si rimpinza di cibi, ignorando il povero Lazzaro che, alle soglie del palazzo, «tutto coperto di piaghe bramava di sfamarsi di ciò che cadeva dalla tavola del ricco. Solo i cani venivano a lambire le sue piaghe». Come è noto, il racconto avrà una svolta con l’ingresso di una nuova protagonista, la Morte, che ribalta i destini dei due protagonisti: Lazzaro sarà assiso alla festa del banchetto messianico, mentre il ricco non avrà neppure una goccia d’acqua che lenisca la sua sete infernale.

Spesso nella tradizione si introduce il nesso tra l’ingordigia golosa e la morte. In questa prospettiva dovremmo aggiornare le varie sfumature del vizio della gola, introducendo due componenti persino tragiche. Da un lato, la droga, un malefico «cibo» avvelenato che distrugge e brucia le vite di tanti giovani e adulti. D’altro lato, l’alcolismo che – pur partendo da un alimento, il vino, che «rallegra il cuore», come suggeriscono i Proverbi biblici – è una piaga che ottunde mente e coscienza. Un invito ai nostri lettori: aprano la loro Bibbia proprio nel libro dei Proverbi e seguano la potente sceneggiatura dell’ubriaco nel c. 23, ai versetti 29-35.


01.06.2023



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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