Lui e lei, giovani e innamorati

«Amatevi l’un l’altro ma non fate dell’amore una catena: lasciate piuttosto che vi sia un mare in movimento tra i lidi delle vostre anime... Siete nati insieme e insieme sarete in eterno. Sarete insieme anche quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni. Sarete insieme anche nella silenziosa memoria di Dio». Abbiamo voluto aprire la nostra riflessione nel mese tradizionalmente dedicato alla celebrazione delle nozze con alcuni versi notissimi del Profeta, opera del poeta libanese Kahlil Gibran (1883-1931). Noi, però, ci riferiremo all’ideale matrice di questo e di tutti i canti d’amore.

Parliamo del Cantico dei cantici, fatto nell’originale ebraico di sole 1.250 parole, un poemetto tutto intarsiato di simboli, percorso dalla gioia, dimostrazione che l’amore riesce a trasformare in un orizzonte primaverile anche il panorama arido e assolato della storia umana. A questi pochi versi, distribuiti in 8 capitoli, ho riservato più di un commento: uno si estende per quasi mille pagine, a testimonianza della potenza e della ricchezza della poesia e dell’amore e della povertà e fatica dell’interpretazione esegetica e teologica.

Perché abbiamo scelto questo scritto biblico nel nostro itinerario ove incontriamo i giovani presentati dalle Sacre Scritture? Perché i due protagonisti, Lui e Lei innominati (Salomone e Sulammita sono nomi simbolici legati al valore della parola shalôm, “pace”) e innamorati, sono giovani che stanno vivendo e testimoniando al mondo (rappresentato dal coro che ogni tanto occhieggia nel testo) la freschezza e la bellezza del loro amore. Ed è signifi•cativo che nella cultura maschilista dell’antico Israele sia proprio la donna a condurre le danze spirituali dell’amore, Lei che è defi•nita dai suoi fratelli ancora “piccola”, cioè molto giovane (8,8).

È Lei, infatti, a pronunciare per due volte quella professione d’amore modellata sulla confessione biblica della fede nell’alleanza tra Dio e il suo popolo («Il Signore è il nostro Dio e noi siamo il suo popolo»): «Il mio amato è mio e io sono sua... Io sono del mio amato e il mio amato è mio» (2,16; 6,3). Nell’originale ebraico è un filo musicale sui due suoni -ô-, “lui, suo”, e -î-, “io, mio”: dôdî lî wa’anî lô...’ Anî ledôdî wedôdî lî. È la reciprocità della donazione, è il divenire «una carne sola», cioè una dualità che si trasforma in unità di cuori e di vita, come affermava la Genesi (2,23-24).

Il Cantico insegna ai giovani, che ai nostri giorni vivono esperienze amorose sempli•cate e super•ficiali, ancorate solo alla pelle dei corpi, la verità sulla relazione interpersonale. Tre sono gli anelli d’oro che devono intrecciarsi. Certo, all’inizio c’è la corporeità, la sessualità, celebrata dai due come un dono divino di attrazione e di fecondità. Ma l’uomo e la donna vivono un’esperienza superiore rispetto a quella istintiva del sesso ed è l’eros che, nel suo valore genuino, signi•ca tenerezza, bellezza, fascino, sentimento, passione. Ma anche questo è insuffi•ciente perché si considera ancora l’altra persona come un oggetto, sia pure con un legame d’affetto.

Ecco, allora, il terzo e ultimo anello, l’amore, con il quale i due si donano nella totalità dell’essere, giungendo al punto – come dirà Gesù – di superare l’“egoismo” naturale («Ama il prossimo come te stesso») e di mostrare «l’amore più grande, cioè dare la vita per la persona che si ama» (Giovanni 15,13). È così che il vero amore di coppia, come hanno insegnato i profeti, diventa la rappresentazione più alta dell’amore supremo di Dio per la sua creatura. Ed è per questo che diventano verità le tre parole fi•nali del Cantico: ‘azzah kammawet ’ahabah, «forte come la Morte è Amore» perché è una fi•amma divina (8,6).


18.05.2017



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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