Mito e realtà del diluvio biblico
										
									
									 L'abbiamo già ricordato nella scorsa punta ta dedicata al paradi so terrestre: non sono mancati coloro che si sono inerpicati sul monte Ararat in Turchia alla ricerca dei resti dell’arca di Noè, senza tener conto che la Bibbia con quel nome rimanda in realtà a una regione detta anticamente Urartu e corri- spondente all’attuale Armenia. Il diluvio narrato nei cc. 6-9 della Genesi appare – in forme diverse, sempre come catastrofe planetaria – in altre civiltà: lo si trova in Egitto nel Libro dei morti, nel mito greco di Deucalione e Pirra, in testi indiani, amerindi e persino degli aborigeni australiani. La Bibbia riflette alcuni scritti mesopotamici come la tavoletta XI dell’Epopea di Ghilgamesh e il Poema di Atrakhasis, alla cui base c’era probabilmente la memoria di una tragedia naturale, forse causata dal Tigri e dall’Eufrate che, prima della loro foce, procedono in una superficie piana per 350 km, rendendo le esondazioni disastrose. Una di esse particolarmente grandiosa è entrata nel mito subendo amplificazioni colossali, da non assumere alla lettera.
 Così, ad esempio, l’arca di Noè, se stiamo alle misure esorbitanti indicate dal testo biblico, era simile a un grattacielo galleggiante lungo 156 metri, alto 30, largo 26, con una capacità di 70 mila metri cubi. Gli stessi ospiti di quell’imbarcazione sono descritti secondo una classificazione di stampo ri tuale, comprendente le coppie di animali puri e impuri sulla base delle distinzioni sacrali. La catastrofe, poi, acquista dimensioni planetarie, divenendo appunto un «diluvio universale».
 A questo punto chiediamoci: qual è il significato di questo racconto biblico che, tra l’altro, è frutto dell’intarsio di due di- verse tradizioni? La fusione ha lasciato alcune incongruenze, come nel caso della durata del diluvio, 40 giorni secondo Genesi 7,12, un anno per 8,13. La finalità nella Bibbia non è più mitica come nei paralleli mesopotamici, ove il diluvio era il castigo per il rumore degli uomini che disturbavano il sonno degli dèi. Per la Sacra Scrittura quell’evento acquista i contorni di un atto di giudizio divino morale sul peccato umano: il Dio biblico non è indifferente di fronte alla corruzione e all’immoralità.
 È per questo che all’inizio del racconto si legge questa frase: «Il Signore vide che la malvagità de- gli uomini era grande sulla terra e che ogni progetto concepito del loro cuore non era altro che male» (6,5). Siamo, quindi, davanti al binomio peccato-castigo, raffigurato emblematicamente attraverso una sorta di anticreazione (nella creazione, infatti, le acque erano state separate dalla terra, Genesi 1,9- 10). Ma l’ultima parola non è quella del giudizio e della morte.
 Nell’uomo giusto, Noè, e nella sua discendenza, si manifesta l’amore del Creatore che fa pace con l’umanità, attraverso un’alleanza universale che lo vincola a ogni creatura e che ha il suo segno nell’arcobaleno, che è quasi l’arco da guerra divino ormai deposto (Gene- si 9,1-17).
 Sorge così l’aurora di un nuovo mondo e di una nuova storia ed è per questo che la tradizione cristiana ha riletto l’epopea del diluvio in chiave battesimale, come anticipazione simbolica delle acque che cancellano l’uomo vecchio e fanno rinascere l’uomo che vive nella giustizia e nella santità (si legga 1Pietro 3, 20-21, ove il diluvio è esplicitamente ricondotto ad essere «un’immagine del battesimo»).
 																			
										14.11.2024
										
																		
						
																		
									Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana