Noi tutti disabili

Forse qualche lettore romano o altri via streaming/online hanno partecipato alla Lectio Petri che quattro sere l’anno si svolge nell’abside della basilica di San Pietro, sotto la Gloria e la Cattedra di Pietro, opere del Bernini. Ebbene, in uno di questi incontri sulla figura del primo degli apostoli, la lettura dei testi biblici fu affidata a due atlete paralimpiche: una, campionessa di nuoto, era sordomuta e comunicò col linguaggio dei segni, tradotta vocalmente da una collega; l’altra, una judoka cieca – accompagnata dal suo cane (forse il primo a entrare nel maggior tempio della cattolicità) – lesse il brano biblico trascritto in Braille. Le potenzialità della persona umana, infatti, si possono manifestare in tutte le differenti tipologie fisiche. Abbiamo voluto evocare la scena sopra rappresentata perché da lunedì 28 di questo mese fino a mercoledì 30 si celebra il Giubileo dei disabili. In realtà, noi tutti non apparteniamo a un modello perfetto astratto di umanità, alla maniera del celebre disegno di Leonardo da Vinci. Tutti abbiamo, ma soprattutto siamo un corpo dotato di capacità ma anche di limiti diversi in ogni individuo. Siamo, perciò, un po’ tutti disabili in qualche parte o funzione del nostro essere e tutti, allora, possiamo integrare e persino valorizzare queste limitazioni. È ciò che accade in modo esemplare negli atleti paralimpici che, privati di un’abilità o di un arto, sono la dimostrazione della vera “normalità” che non si misura su un canone rigido e artificioso, ma nell’impegno, comune a tutti, di esprimere sé stessi e le proprie variegate potenzialità. Si dimostra, così, l’incredibile resilienza o reattività e adattabilità di ogni essere umano.

Come abbiamo già avuto occasione di sottolineare in occasione del Giubileo dei malati dello scorso 5-6 aprile, Gesù è stato ripetutamente in compagnia di persone con qualche limitazione fisica: pensiamo ai ciechi, ai sordomuti, ai paralitici o a coloro che avevano problemi di deambulazione, e forse anche ai malati mentali (vedi Marco 5,1-20 e il cosiddetto “indemoniato di Gerasa”). Certo, egli offriva loro la possibilità di un recupero, ma si guardava bene di considerarli un rifiuto della società, superando anche la teoria – allora in voga – di considerare l’handicap come una punizione per un peccato compiuto. Ad esempio, riguardo al caso del cieco nato, ribadisce senza esitazione che né lui né i suoi genitori hanno peccato, anzi, in lui si manifesteranno le opere di Dio (Giovanni 9,3).

In questa luce è significativo che in alcune Chiese nazionali, come la francese, si stiano promuovendo non solo una pastorale per i disabili, ma anche un impegno ecclesiale dei disabili, come soggetti capaci di compiere una loro missione all’interno delle comunità, secondo le loro caratteristiche.

Certo è che, a livello preliminare, c’è il tema dell’accessibilità agli spazi (non solo sacri), cancellando le barriere fisiche e soprattutto mentali che spesso escludono alcune categorie di persone a causa di pregiudizi inveterati (si pensi all’esclusione delle donne da alcuni ambiti all’interno di certi Paesi). Corpo, mente, spirito sono la nostra struttura fondamentale, ed essa deve esprimersi secondo le modalità personali di ciascuno.


24.04.2025



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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