‘ÔLAM: eternità, secolo

La radice da cui deriva questo termine significa essere nascosto, oscuro, invisibile. Applicata al tempo, la nozione indica qualcosa che non ha inizio né ; fine, il tempo stesso di Dio

 

Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, o Dio» (Salmo 90,2). La nostra versione «sempre» copre un vocabolo ebraico di difcile resa, ‘ôlam (l’apostrofo inverso indica una consonante aspirata dell’alfabeto ebraico di ardua pronuncia per noi occidentali), anche perché si basa sulla radice ‘alam che signica «essere nascosto, oscuro, invisibile, ignoto». Applicato allo spazio, il concetto indicherebbe le regioni lontane, inesplorate, tenebrose. Riferito al tempo, ingloberebbe il passato remoto («la notte dei tempi», come siamo soliti dire), il presente e il futuro lontano.

Di scena sarebbe, perciò, da una parte l’infinito e dall’altra l’eternità. Ai nostri lettori coraggiosi chiediamo questa volta uno sforzo particolare: siamo, infatti, in presenza di due realtà che superano lo spazio (infinito) e il tempo (eternità), ma che noi pensiamo ed esprimiamo con categorie spaziali e temporali. Infatti immaginiamo l’infinito come un’estensione che s’allunga e s’allarga sempre più e l’eterno come una successione di giorni che non ha mai fine. In verità si tratta di realtà trascendenti che possono essere simili a un punto che tutto in sé concentra (l’infinito) o un attimo pieno e perfetto che non conosce successione (l’eterno).

Lasciamo a parte questa complessa ri—flessione filosofica e accontentiamoci di mostrare come la Bibbia usa questa parola che risuona 440 volte. In sintesi potremmo dire che ‘ôlam è il tempo di Dio, cioè l’eternità, di cui lui solo detiene il segreto. Il significato di «secolo» che abbiamo aggiunto dev’essere inteso nella formula liturgica ben nota, «nei secoli dei secoli», una locuzione che rimanda a una durata  infinita, che – come si diceva – è un modo temporale per definire ciò che supera il tempo ed è, quindi, l’eternità.

Eccone una rappresentazione attraverso la voce del Salmista: «Canterò in eterno (‘ôlam) l’amore del Signore… Ho detto: Il tuo è un amore edificato per sempre (‘ôlam), nel cielo rendi stabile la tua fedeltà» (Salmo 89,2-3). In pratica il fedele, quando prega, entra nella stessa atmosfera in cui è collocato Dio, e per questo la sua lode non ha né inizio, né fine, è eterna. Lo stesso Salmo finisce, infatti, così: «Benedetto il Signore in eterno (‘ôlam)» (89,53).

In questa luce l’alleanza con Dio è un evento che non è legato a una data o a un luogo – che pure esistono perché noi siamo nel tempo e nello spazio – ma li supera ed è sempre valida ed efficace. Il profeta Isaia quando invita i peccatori a convertirsi, suggerisce loro di «ricordare gli eventi eterni (‘ôlam) perché io sono Dio e non ce n’è altri» (46,8-9). Noi, dunque, nella nostra comunione con Dio nella liturgia, nella preghiera, nella vita spirituale e morale, nell’alleanza con lui siamo inseriti nel suo ‘ôlam, tempo eterno e spazio infinito.

Concludiamo questa nostra considerazione impegnativa con una frase altrettanto impegnativa, presente nel libro del Qohelet, il sapiente biblico piuttosto originale e provocatorio: «Dio ha fatto bella ogni cosa a suo tempo. Ha posto, poi, nel cuore degli uomini l’‘ôlam, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine» (3,11). Col suo tipico senso critico, Qohelet è convinto che il Creatore ha istillato in noi il senso dell’eterno e quindi il mistero del tempo che viviamo, ma non siamo in grado di comprenderne appieno la realtà e il signicato che sono solo nella mente di Dio.


06.05.2021



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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