Animalismo biblico, rispetto e dignità

In alcune pagine delle Sacre Scritture vengono messi in evidenza anche i “diritti” del mondo animale, come quello di nutrirsi e riposare. È però sempre condannata l’idolatria nei loro confronti

La tutela del Creato comprende l’attenzione al mondo animale, senza per questo giungere a concezioni radicali, come quella del fi‹losofo australiano Peter Singer che nella sua opera Liberazione animale è incline ad assegnare a esso persino una superiorità rispetto all’umanità. Dobbiamo, per altro, notare che l’accettazione dell’evoluzione biologicaumannon è incompatibile con l’affermazione religiosa della speci‹cità umana, espressa attraverso elementi come l’anima, la spiritualità, la capacità artistica e simbolica e così via. Ora, nella mappa biblica della natura che stiamo da tempo disegnando, abbiamo nelle ultime tappe introdotto proprio gli animali. Questa volta vorremmo sottolineare la dimensione del rispetto nei loro confronti, così come viene delineato in alcune pagine delle Sacre Scritture.

Così, se è vero che Dio «provvede il cibo al bestiame, ai piccoli del corvo che gridano» (Salmo 147,9), anche «il giusto si prende cura del bestiame, a differenza degli empi che sono spietati » (Proverbi 12,10). L’animale domestico ha diritto al riposo del sabato, come ammonisce il Decalogo, che lo impone non solo per la famiglia, gli stranieri, gli schiavi ma anche per il «bue, l’asino e il bestiame » (Deuteronomio 5,14). Ci sono, poi, norme che riguardano la dignità lavorativa animale.

Non si deve «arare con un bue e un asino aggiogati insieme», perché considerati di genere e funzioni diverse (Deuteronomio 22,10). Similmente «non metterai la museruola al bue mentre sta trebbiando » (25,4), così che possa sfamarsi con gli steli del grano (si ricordi che san Paolo usa questo passo per sostenere la legittimità del sostentamento economico degli apostoli, in 1Corinzi 9,7-14). Proibito è l’incrocio delle specie (Levitico 19,19), mentre è suggestivo il divieto “umanitario” – a prima vista sorprendente – di far cuocere il capretto nel latte di sua madre (Esodo 23,19).

Signi‹cativo è anche questo precetto riguardante gli uccelli: «Quando, camminando, troverai sopra un albero o per terra un nido d’uccelli con uccellini e uova e la madre che sta covando gli uccellini e le uova, non prenderai la madre che è con i ‹figli» (Deuteronomio 22,6). Certo, non possiamo equiparare queste e altre norme alla spiccata sensibilità attuale, tanto è vero che l’Unesco già nel 1978 aveva emanato una Dichiarazione universale dei diritti degli animali, così come è cresciuta la sensibilità etica contro la crudeltà nei confronti degli animali e non mancano coloro che ipotizzano la presenza di animali in paradiso, in compagnia degli eletti.

Da un lato, nella Bibbia è severa la condanna per l’idolatria animale: si pensi al vitello (in realtà toro) d’oro, segno della fecondità per gli indigeni cananei della Terrasanta e adorato dagli Israeliti nel deserto (Esodo 32) o al paragrafo aspro di Sapienza 15,14-19 contro la zoolatria – che invitiamo a leggere ciascuno nella propria Bibbia – una prassi in uso nell’Egitto faraonico. D’altro lato, però, è noto che venivano assegnati nomi di animali alle persone, quasi a benefi‹ciare delle loro qualità o dell’essere il totem della tribù. Così, Lia signi‹ca «antilope», Rachele «pecora madre», Debora «ape», Giona «colomba», Lais «leone», Tabità «gazzella», Filippo «amico dei cavalli», Simeone forse rimanda a un tipo di «lupo» e così via.


30.04.2020



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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