Quando i selvaggi della Louisiana vogliono un frutto, tagliano alla base l’albero e raccolgono il frutto. Ecco il governo dispotico». Sarcastico questo paragone coniato, nel suo celebre saggio Lo spirito delle leggi (1748), da Montesquieu, l’autore della distinzione dei tre poteri statali, il legislativo, l’esecutivo, il giudiziario. Altrettanto pessimista nel 1964 era ancora un filosofo come Norberto Bobbio che scriveva: «I nostri rappresentanti mi fanno l’effetto di minatori incoscienti che si mettono a fumare sigarette in una miniera piena di grisou».
 E vent’anni dopo, ancor più sferzante, era il giornalista Indro Montanelli che partiva da un’immagine analoga: «Strano paese il nostro. Colpisce i venditori abusivi di sigarette ma premia i venditori di fumo. Abbiamo un debole per i governanti che dicono quello che pensano. Solo vorremmo che ogni tanto pensassero a quello che dicono». Potremmo allungare all’infinito questa catena di citazioni, col rischio però di cadere nel qualunquismo e nello scetticismo che allontana i giovani dalla politica e gli elettori dalle votazioni.
 In verità, esistono figure che hanno messo in pratica quella “carità” particolare che dovrebbe essere l’impegno socio-politico, come lo definiva Paolo VI. Ed è per stimolare a rivolgersi a quest’orizzonte che si celebra da venerdì 20 a domenica 22 il Giubileo dei governanti. Naturalmente alla base c’è il costante appello all’etica, al bene comune, alla giustizia.
 In questo è sempre incisiva e decisiva la voce dei profeti: basterebbe rileggere il libro di Amos che registra e condanna tutte le prevaricazioni del potere politico ed economico dell’VIII sec. a.C., schierandosi dalla parte dei poveri e denunciando le strutture inique che, purtroppo, perdurano nei secoli e raggiungono anche il nostro tempo.
 Analoga è la voce del Battista  col suo celebre «Non ti è lecito!», scagliato contro il re Erode Antipa, oppure il principio formulato da san Pietro davanti al Sinedrio: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (Atti 5,29), entrambi pronti a testimoniare col sangue la loro coerenza morale nella critica al regime.
 Gesù introduce – nell’unico suo pronunciamento direttamente “politico” – una distinzione importante attraverso un famoso detto. Esso, nell’originale greco dei Vangeli si compone di soli 54 caratteri spazi inclusi, molto meno di quanto è riservato per un tweet: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Matteo 22,21).
 Davanti alla moneta imperiale Cristo aveva sottolineato l’effige di Cesare, simbolo del campo specifico della politica. Indirettamente ricordava che per la Bibbia la persona umana, maschio e femmina, è «immagine di Dio» (Genesi 1,27). In sintesi, la moneta è il segno dell’autonomia della politica e dell’economia nella loro gestione operativa; tuttavia esse devono sempre rispettare e sostenere la dignità delle persone e la morale. Una distinzione delicata, mai però una separazione netta e neppure una prevaricazione dell’una sull’altra, come accade nella teocrazia del potere religioso o nel secolarismo radicale e nella tirannia. Una nota a margine. Invitiamo a leggere Romani 13,1-7, vigoroso appello di Paolo alla fedeltà fiscale (e allora imperatore era Nerone!).  
  
  
 																			
										19.06.2025
										
																		
						
																		
									Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana