San Paolo, l’atleta di Cristo
										
									
									 Pochi sanno che a ispirare al fondatore dei Giochi Olimpici, il barone Pierre De Coubertin (1863- 1937), il motto latino Citius - Altius - Fortius, con riferimento alla velocità, all’altezza e alla forza, fu un suo amico e guida spirituale, il domenicano padre Martin Didon (1840-1900), che lo applicava alla sua attività pedagogica in un collegio francese. A questo punto mi permetto di introdurre un’esperienza personale. Sono stato, infatti, legato da collaborazione e amicizia – allora nella mia qualità di capo-dicastero vaticano con delega allo sport – col presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio) con sede a Losanna, Thomas Bach.
 Ebbene, dietro mio suggerimento e con l’avallo di papa Francesco, si configurò la necessità di inserire nel motto olimpico una quarta componente che – dopo vari passaggi ufficiali – fu definita con l’avverbio latino Communiter, un evidente rimando a un impegno “comune” nel gareggiare contro ogni forma di prevaricazione o di tifo esasperato e violento. Si recuperava, così, lo spirito autentico della “competizione”, che nella sua stessa etimologia latina suppone un petere, un “gareggiare" verso una meta comune, ma cum, cioè “insieme” con regole condivise e con rispetto reciproco.
 Questa lunga premessa è suscitata dall’evento giubilare di questo fine settimana che ha per protagonista il mondo dello sport, un’attività che ha come sua radice un atto umano basilare, il gioco autentico, libero, creativo e gratuito, testimoniato già dal bambino, prima che venga deformato da interessi economici e dalle degenerazioni sopra evocate. Non per nulla lo scrittore francese Jean Giraudoux (1882- 1944), in uno scritto intitolato lapidariamente Sport, affermava che esso è «l’esperanto dei popoli  ossia la loro lingua comune, un po’ come la musica.
 È suggestivo scoprire la passione sportiva di una figura a prima vista freddamente intellettuale come l'Apostolo Paolo. Ascoltiamolo mentre scrive la sua Prima Lettera ai Corinzi: «Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato» (1Corinzi 9,24-27).
 È evidente il rimando a due pratiche sportive, la corsa nello stadio e il pugilato (o la lotta greco- romana). San Paolo adotta persino il linguaggio tecnico greco: ad esempio, il verbo piktéuo descrive il gesto del pugile che non lancia colpi a vuoto, ma hypopiázo, letteralmente “cerca di colpire sotto l’occhio”, che è il punto più delicato del volto dell’avversario. Anzi, nel suo testamento ideale, affidato al fedele discepolo Timoteo, l’apostolo farà il bilancio della sua vita ricorrendo ancora alla corsa nello stadio: «Ho completato la corsa, ho conservato la fede» (2Timoteo 4,7).
 																			
										12.06.2025
										
																		
						
																		
									Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana