Pietro secondo Luca

Il famoso filosofo ottocentesco Friedrich W. Nietzsche, dalla sua opera dal titolo emblematico Anticristo (1894), era convinto che nella storia «ci fosse stato un solo cristiano, ma è morto in croce». In realtà, il Vangelo di Cristo non è stato sepolto nella sua tomba, ma è anch’esso risorto ed è ciò che testimonia la seconda opera scritta dall’evangelista Luca, gli Atti degli Apostoli. È un grandioso affresco della Chiesa delle origini in movimento da Gerusalemme a Roma, un testo di 18.374 parole greche, con due protagonisti, Pietro nei primi 15 capitoli e Paolo nei successivi fino al 28°.

In questo mese, che sfocia nella solennità dei due apostoli, abbiamo già iniziato – e continuiamo ora – a presentare con qualche bozzetto essenziale uno dei due, Pietro. Siamo, infatti, consapevoli che il Giubileo fa convergere i pellegrini non solo verso la sua basilica e la sua tomba, ma anche verso la sua figura e quella del suo successore, il Papa. Ci affidiamo inoltre a Luca, anche perché è lui a riferirci il discorso che Pietro tiene nel giorno di Pentecoste, la solennità che celebriamo in questa domenica (Atti 2,14-36).

Il contesto dell’esperienza dello Spirito Santo, simboleggiato dal vento (in ebraico e in greco un unico vocabolo indica “vento” e “spirito”) e dal fuoco, che si effonde sui discepoli e Maria, la madre di Gesù, è segnato da un fenomeno a prima vista sorprendente. Pur proveniente dalle diverse nazionalità della Diaspora, la folla degli uditori sentiva quel discorso «ciascuno nella propria lingua nativa» (2,8).

Secondo un filosofo ebreo molto noto di allora, Filone di Alessandria d’Egitto, anche sulla vetta del Sinai «una voce era scesa dal cielo e si era divisa nei dialetti propri degli spettatori» delle varie tribù d’Israele.

Nella Pentecoste cristiana si riproduce, perciò, l’evento dell’alleanza sinaitica, animata dallo Spirito di Dio, come aveva annunciato il profeta Geremia (31,31-34). Il simbolismo delle lingue acquista, allora, un valore significativo: si cancella la divisione di Babele tra i popoli e tutte lingue annunziano «le grandi opere di Dio» (2,11). È la rappresentazione della Chiesa diffusa in molteplici regioni e con linguaggi differenti; eppure tutti i fedeli professano l’unica fede comune, proprio come accade ora durante il Giubileo nell’afflusso dei pellegrini da ogni continente a Roma.

Luca negli Atti cita per 56 volte il nome di Pietro e narra tante vicende da lui vissute: i vari processi davanti al Sinedrio; le carcerazioni e le liberazioni; i miracoli; le ispezioni nelle comunità cristiane, come quella di Samaria ove smaschera Simon mago; la conversione del primo pagano, il centurione Cornelio; il giudizio severo sulla coppia Anania e Saffira, che avevano violato la carità fraterna.

Di grande rilievo è il cosiddetto “concilio o sinodo” di Gerusalemme ove – in un momento di forte crisi ecclesiale – si apre l’ingresso nella fede cristiana ai pagani senza il previo passaggio nel giudaismo attraverso la circoncisione: Pietro, accanto a Paolo e a Giacomo, guida l’esito finale di quest’assise.

È, allora, semplice il nostro invito ai lettori perché in questi giorni riprendano in mano la loro Bibbia e seguano il racconto di Luca su Pietro nei primi 15 capitoli degli Atti degli Apostoli: è, infatti, necessario conoscere la fondazione della Chiesa che da Gerusalemme si estende a tutte le nazioni.


05.06.2025



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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