«Come aceto e fumo»

Che il settimo e ultimo vizio capitale, la pigrizia,sia “popolare” risulta anche da uno spoglio del vocabolario italiano, che al pigro riserva una serie di titoli vivaci come sfaticato, scansafatiche, lazzarone, fannullone, scioperato, poltrone, lavativo, perdigiorno, bighellone, pelandrone, addormentato e così via. Naturalmente ci sono anche gli aggettivi più pacati, ma sempre efficaci come ozioso, svogliato, fiacco, apatico, abulico, lento, indolente, inerte e altri ancora. Incisivo era stato lo scrittore francese Victor Hugo nel suo celebre romanzo I miserabili (1852): «La pigrizia è madre. Ha un figlio, il furto, e una glia, la fame». La stessa efficacia nel denunciare i pericoli dell’ozio animava già alcune pagine bibliche che spesso esaltano, in parallelo, l’antitetica virtù della persona operosa e solerte. Proveremo, allora, a costruire una sorta di antologia che attinge soprattutto all’insegnamento dei sapienti d’Israele. Lasciamoci prendere dalle parole spesso intarsiate di immagini di questi antichi maestri. «Va’ dalla formica, o pigro, esamina le sue abitudini e diventa saggio. Essa, pur non avendo un capo, un sorvegliante o un padrone, si provvede lo stesso il vitto d’estate, accumulando cibo al tempo della mietitura. Fino a quando, o pigro, te ne starai a dormire? Quando ti scuoterai dal sonno? Un po’ dormire, un po’ sonnecchiare, un po’ incrociare le braccia per riposare e intanto piomba su di te la miseria, come un vagabondo, e l’indigenza, come un mendicante» (Proverbi 6,6-11). «La mano pigra fa impoverire, la mano attiva arricchisce. Chi raccoglie d’estate è previdente, mentre chi dorme al tempo della mietitura si disonora» (10,4-5). «Come aceto ai denti e fumo agli occhi, così è il pigro per chi gli affida un incarico» (10,26). «La via del pigro è come una siepe piena di spine» (15,19); «egli tuffa la mano nel piatto, ma fa fatica persino a riportarla alla bocca» (19,24). «Il pigro d’autunno non ara; alla mietitura va a cercare e si stupisce di non trovare nulla» (20,4). «Non amare il sonno se non vuoi diventare povero» (20,13). «Le voglie del pigro lo conducono alla morte perché le sue mani si rifiutano di lavorare» (21,25). «Il pigro dice: Fuori c’è un leone! Se esco, sarei ucciso per strada!» (22,13). «La porta gira sui cardini, così il pigro si volta sul suo letto» (26,14). «Sono passato vicino al campo di un pigro, alla vigna di un indolente ed ecco: dappertutto erano cresciute le erbacce, il terreno era coperto di rovi e il muretto di pietre era tutto sbrecciato. Osservando riflettevo e, pensandoci, m’è venuta questa lezione: un po’ dormire, un po’ sonnecchiare, un po’ incrociare le braccia per riposare, e intanto s’avanza passeggiando la miseria e l’indigenza come un accattone» (24,30-34). Anche la sapienza biblica più sofisticata e “intellettuale” non era tenera nei confronti dell’ozioso. Così, il Qohelet scherzava sullo «stupido che incrocia le braccia e intanto si divora la sua carne» e su chi «lascia crollare il sotto per negligenza e per inerzia delle sue mani lascia piovere in casa» (4,5; 10,18). Un altro sapiente, il  Siracide, è pronto lui pure a prendere di mira il poltrone, rasentando il turpiloquio: «Il pigro è simile a una pietra insozzata: ognuno gli lancia fischi di disprezzo. Il pigro è simile a una palla di escremento, chi la raccoglie deve subito scuotere forte la mano» (22,1-2). E raccomandava ai padroni di non lasciare oziare i loro servi «perché l’ozio insegna tante malizie» (33,28). Fermiamoci qui: nella prossima puntata faremo intervenire il Nuovo Testamento.


06.07.2023



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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