Dodici lunghi anni di sofferenza

Sono due storie di donne, intrecciate tra loro nel racconto evangelico, anche se indipendenti. Da un lato, infatti, c’è una ragazza dodicenne, figlia di Giairo, un personaggio autorevole posto a capo della sinagoga di Cafarnao frequentata anche da Gesù. D’altro lato, nell’affollarsi di una via di quella città, c’è una donna adulta, colpita da una sindrome grave, cioè le continue perdite di sangue. Entrambe le storie sono narrate – concatenate tra loro – dai tre evangelisti detti “sinottici” a causa dei paralleli che intercorrono tra loro, ossia Matteo, Marco e Luca. Noi seguiremo quest’ultimo evangelista (Luca 8,40-56), soffermandoci però solo sull’episodio centrale, quello dell’emorroissa, rimandando alla prossima puntata la vicenda della figlia di Giairo.

Gesù sta avanzando in mezzo a una folla che lo pressa da ogni parte, anche perché si è diffusa la notizia che è in procinto di recarsi nella casa del capo della sinagoga, ove si sta consumando una tragedia che ha fatto clamore in città. In quella massa di gente l’obiettivo dell’evangelista punta su un volto un po’ impaurito, un po’ fiducioso: è una donna che da dodici anni ha quelle perdite di sangue che non solo la fanno soffrire, ma anche la umiliano e la escludono dalla comunità. Questa malattia, infatti, entrava nella casistica legale delle impurità rituali e sociali, come si dichiarava in un passo esplicito della Legge biblica: «La donna che ha un flusso di sangue per molti giorni, fuori del tempo delle mestruazioni, o che lo abbia più del normale, sarà impura per tutto il tempo del flusso, come durante le sue mestruazioni » (Levitico 15,25).

È noto che il sangue, considerato la sede della vita, costituiva in Israele un tabù alonato di intoccabilità, come è attestato ancor oggi dalla proibizione della trasfusione di sangue da parte dei Testimoni di Geova. Questa donna aveva naturalmente imboccato la via della medicina, ma le terapie erano state del tutto inefficaci e così, durante un arco di tempo ampio – il numero dodici è anche simbolico per la Bibbia –, aveva sofferto fisicamente, spiritualmente e socialmente. È curioso notare che Luca, di professione medico secondo san Paolo (Colossesi 4,14), è piuttosto sbrigativo nel segnalare che l’emorroissa, «pur avendo speso tutti suoi beni per i medici, non aveva potuto essere guarita da nessuno » (8,43). Marco, invece, è più pesante nel sottolineare questo dato: «Aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi, piuttosto peggiorando» (5,26).

Ma a questo punto, ecco la svolta. Solo Gesù s’accorge, tra le molte mani che lo stringono, di quel gesto timido di una donna che quasi non osa toccare il Maestro “inquinandolo” con la sua impurità e sfiora soltanto il lembo del suo mantello. Tremebonda si getta ai suoi piedi e pubblicamente dichiara il suo atto ma anche la sensazione di sollievo fisico che aveva provato. E Cristo, come sempre di fronte a donne dalle sofferenze ancor più atroci come la madre privata di un figlio o da impurità anche maggiori come quelle del peccato, con tenerezza si rivolge a lei usando un appellativo dolce: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace» (8,48). Cala, così, il sipario su una storia femminile risolta gioiosamente, ma se ne apre un’altra ancor più drammatica che incontreremo la prossima settimana.


10.01.2019



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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