Due donne litigiose

Oltre a quella naturale, ci sono altre famiglie in senso più generale: pensiamo alle varie comunità sociali, ai clan parentali, alle stesse chiese locali che radunano persone che condividono ideali e affetti. Non per nulla la comunità cristiana delle origini si radunava kat’oikon, cioè presso la casa domestica, come ricorda san Paolo a più riprese (per esempio, Romani 16,5). Queste “famiglie” ecclesiali spesso riflettevano e riflettono le gioie e i dolori, le speranze e le prove, le armonie e le tensioni di quelle naturali. È quindi necessario che anche in esse si viva l’esercizio della misericordia reciproca. Proprio nella linea del nesso famiglia-misericordia, proponiamo ora un problema piccolo ma signi„ficativo di una particolare famiglia ecclesiale, quella di Filippi.
Dalla lettera paolina indirizzata a questa comunità a lui particolarmente cara, facciamo emergere due donne cristiane, attorno alle quali si è consumato anche un piccolo giallo esegetico. Ma cominciamo con l’ascoltare le parole di Paolo che scrive: «Esorto Evodia ed esorto Sintiche ad andare d’accordo nel Signore. E prego te pure, mio fedele collaboratore, di aiutarle, poiché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me» (4,2-3). Procediamo per ordine. Nella comunità cristiana di Filippi due cristiane si beccano tra loro, tant’è vero che Paolo deve esortarle calorosamente ad “andare d’accordo”, letteralmente ad “avere le stesse idee”, a vivere quindi secondo la logica cristiana del perdono, della reciproca comprensione, della misericordia.
In questa vicenda, c’è un duplice paradosso. Il primo è esteriore e quasi divertente: i nomi delle due donne signifi„cano rispettivamente in greco “cammino buono, facile” (eu-odia), e “sorte comune”, “incontro” (syn-tyche), signi„cati smentiti dai loro litigi. Il secondo paradosso è ben più lacerante: come ricorda Paolo, esse «hanno lottato» con lui per il Vangelo (il verbo usato è quello “atletico” più che militare) e ora smentiscono quel comune impegno di fede. È a questo punto che entra in scena l’enigma a cui sopra si accennava. Infatti, l’Apostolo fa appello a un non meglio speci„ficato «fedele collaboratore» perché funga da mediatore tra le due avversarie così da espletare la missione di pacifi„cazione.
Ora, in greco “collaboratore” è sýzygos (letteralmente “colui che condivide lo stesso giogo”, ossia lo stesso compito o incarico), un termine che può essere inteso anche come nome proprio. In questo caso salirebbe sulla ribalta una „figura della Chiesa „filippese, un certo Sizigo, non altrimenti noto ma dal nome suggestivo. Certo è che anche una comunità così amata da Paolo rivela al suo interno tensioni, divisioni e ripicche e quindi una forte carenza di misericordia e di amore reciproco. Un fenomeno che esploderà a Corinto, come attesta la Prima Lettera indirizzata dall’Apostolo a quella Chiesa (1,11-13). Un elemento che ci mostra l’“incarnazione” della parola di Dio nella storia di tutti i tempi, rivelando non solo gli splendori della fede, ma anche le piccinerie e le miserie dei credenti.


02.06.2016



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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