Giovani e vecchi politici
										
									
									 Sarà pure – come diceva Napoleone che di questo fece esperienza personale – che «un trono altro non è che un pezzo di legno rivestito di velluto». Sta di fatto, però, che molti sacrificano onore, amore e vigore per potervi salire e accomodarvisi, fino a quando qualcuno da lassù li scalzi, facendoli precipitare nella polvere. C’è, inoltre, un vezzo che solo in epoca recente ha iniziato a mostrare qualche crepa, quello della classe politica inamovibile, fatta di anziani aggrappati alla poltrona, ingrigiti dalla carriera.
 È in questa luce che Gesù ai suoi discepoli, nell’ultima cena, raccomandava un capovolgimento della prassi dominante: «Chi tra voi è più grande, diventi come il più giovane» (Luca 22,26). Nella letteratura sapienziale biblica, troviamo la voce provocatoria di Qohelet, sapiente critico e smitizzante, che dichiara: «Meglio un giovane povero ma accorto che un re vecchio e stupido, che non sa accettare consigli» (4,13).
 Ma poi continua con una storia sferzante. Egli immagina che quel giovane sia un avversario del regime, arrestato dal potere dominante, e che sia espressione delle classi povere e oppresse. Una rivoluzione lo aveva tirato fuori dal carcere e una folla immensa lo aveva acclamato re al posto del sovrano precedente vecchio e rimbambito. Ma una volta ben assestatosi sul trono, aveva rivelato un volto assetato di dominio, per cui – concludeva Qohelet – «coloro che verranno dopo non si rallegreranno neppure di lui» (4,14-16). È per questo che in un’altra pagina del suo breve libro sapienziale (2.987 parole ebraiche e 222 versetti), Qohelet non esita a ironizzare amaramente: «Povera te, o nazione, che per re hai un ragazzo e i tuoi prìncipi banchettano fin dal mattino!» (10,16).
 A chi alluda il saggio antico non è dato sapere. Ma già il profeta Isaia, per indicare una maledizione da parte del Signore, riferiva questo oracolo divino: «Io metterò come loro capi dei ragazzi, dei monelli li domineranno» (3,4). È il ritratto di una classe politica incapace e godereccia, triste e costante esperienza di molti Paesi. Non è, perciò, automatico indizio di buon governo né un sovrano di lungo corso né un giovane e aitante innovatore. Una prova di questa seconda situazione l’abbiamo in un momento delicato della storia biblica.
 Era morto un famoso e grande re, Salomone il Magnico, e sul trono era salito suo figlio, il giovane e grigio Roboamo. Che il malcontento fosse già cominciato a serpeggiare durante il governo pur illuminato di suo padre era attestato dal fatto che un caposquadra di lavoratori, un certo Geroboamo, aveva guidato una prima sommossa, sedata da una repressione che l’aveva costretto a riparare all’estero, in Egitto. Come sempre, alla base delle tensioni popolari c’erano la pressione fiscale e la corruzione. L’inetto figlio di Salomone aveva, allora, consultato gli anziani consiglieri di suo padre che gli avevano suggerito moderazione e concessioni alle richieste dei sudditi.
 Ma Roboamo, giovane e arrogante, aveva voluto sondare i suoi giovani amici che gli proposero, invece, di inasprire la repressione dicendo al popolo: «Il mio mignolo è più grosso dei fianchi di mio padre. Mio padre vi caricò di un carico pesante, io renderò ancor più grave il vostro giogo» (vedi 1Re 12). Il risultato fu devastante: il ribelle Geroboamo, rientrato dall’esilio egiziano, si mise a capo di una rivolta che vide l’adesione di ben dieci delle dodici tribù ebraiche, dando origine a un nuovo stato, il cosiddetto “regno di Israele”, separato da quello di Giuda e di Gerusalemme. La vera saggezza non si misura sulla pura e semplice cronologia e la stupidità è trasversale perché può baciare e attrarre giovani e vecchi.
 																			
										08.06.2017
										
																		
						
																		
									Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana