La solennità di Tutti i Santi che cade in questa settimana ci spinge a introdurre un aggettivo greco, presente 233 volte nel Nuovo Testamento, accompagnato da vari derivati: è hágios (si pronuncia hághios) ed è entrato anche nel nostro termine «agiografia», con il quale si designano le narrazioni delle vite dei santi. Sotto questa parola greca si incrociano due nostri vocaboli che non sono propriamente sinonimi, nonostante l’uso comune, cioè «santo» e «sacro». Cerchiamo di definirne la distinzione, fermo restando che esiste anche una connessione capace di giustificare l’unicità del termine greco (e pure l’equivalente ebraico, qadôsh).
  
 Il «sacro» rimanda a una realtà oggettiva dedicata al culto divino. Così lo è lo spazio del tempio, il sacerdote che presiede i riti, lo sono anche gli oggetti, i cibi, gli animali sacrificali destinati alle celebrazioni liturgiche. «Santo», invece, è una qualità personale che si ottiene aderendo a Dio nella fede e nell’amore, attraverso un’esistenza giusta. È una dimensione che segna l’interiorità di una persona, la sua libertà, la volontà e l’azione. I profeti e lo stesso Cristo si sono battuti per impedire la scissione tra il «sacro» oggettivo dei riti e il «santo» dell’adesione soggettiva e intima del fedele.
  
 La figura di Gesù lo è proprio secondo questi due profili. Egli è per eccellenza il «sacro», ossia il consacrato per opera dello Spirito Santo, come egli stesso proclama applicando a sé la profezia di Isaia, nel suo discorso nella sinagoga di Nazaret: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione» (Luca 4,18). Ma contemporaneamente è il messaggero della «santità» che è giustizia e amore: «Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi». Questi due volti della sacralità/santità erano già presenti nell’annuncio dell’angelo a Maria: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (Luca 1,35).
  
 Quando nel «Padre nostro» diciamo: «Sia santificato [con il verbo derivato hagiázô] il tuo nome», chiediamo a Dio di svelare il mistero «sacro» della sua persona divina, ma anche la volontà che la sua parola diventi la norma morale dei fedeli così da «santificare» la loro esistenza nel mondo («sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra»). In sintesi, sarà sempre con questo intreccio tra «sacro» e «santo» che si devono interpretare alcune affermazioni che definiscono Cristo il Santo per eccellenza, come nella professione di fede di san Pietro a Cafarnao: «Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei l’hágios di Dio» (Giovanni 6,69).
  
 Questo vale anche per i cristiani quando nel Nuovo Testamento vengono ripetutamente denominati hágioi. Essi lo sono perché consacrati nel battesimo così da essere «pietre vive costruite come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio» (1Pietro 2,5). Ma i cristiani sono santi anche per la loro esistenza giusta e per il loro impegno nell’obbedienza alla parola di Dio e di Cristo, come appare nelle sezioni morali ed esortatorie delle Lettere paoline. La Chiesa è, quindi, una comunità consacrata al Signore, ma anche santificata nella carità. È ciò che propone l’apostolo ai cristiani di Roma usando il sostantivo derivato hagiasmós, «santificazione» (10 volte nel Nuovo Testamento): «Come avete messo le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità, per l’iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia, per la santificazione» (6,19).
 																			
										27.10.2022
										
																		
						
																		
									Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana