Il figlio più piccolo e prediletto

Questa volta raccontiamo la storia di un bambino che da ragazzo avrà una funzione importante in una vicenda che presenteremo più avanti. Immaginiamo una scena ambientata nella steppa. Da lontano avanza una carovana lungo la pista del deserto della Giudea. Siamo vicini a Efrata, nei pressi di Betlemme. All’improvviso la carovana si ferma e vediamo un affannarsi e un agitarsi: un urlo squarcia il silenzio di quella terra solitaria. La moglie del capo-clan Giacobbe è colpita dalle doglie del parto e sta malissimo.

La situazione precipita: la madre, Rachele, entra in agonia. Ma la levatrice riesce a estrarre la creaturina: un maschio. La pone, ancora insanguinata, sulla madre per darle coraggio. Essa, con un filo di voce, mormora il nome da imporre al bambino: Ben-onî!, che in ebraico significa “figlio delle mie doglie”. E subito dopo esala l’ultimo respiro.

Giacobbe, il padre, è travolto da due sentimenti contrastanti: l’immensa sofferenza per la perdita di questa donna che aveva amato più di tutte le altre e la gioia perché essa continuerà a vivere nel bambino che gli ha donato proprio nell’istante della morte. Ecco, allora, la sua decisione: il nome di questo piccolo non sarà triste come voleva la madre, ma sarà un augurio festoso. E Giacobbe gli impone il nome di Beniamino, in ebraico Ben-yamîn, “figlio della destra”, ossia “figlio della fortuna, della prosperità, del buon auspicio”.

La carovana ora si alza e assiste in silenzio al rito che il capo-clan compie: sulla terra ove è sepolta Rachele viene eretta una stele commemorativa, cioè una pietra che ricorderà come in quel luogo vita e morte si siano incrociate. Questa vicenda è raccontata nel capitolo 35 del libro della Genesi. È il punto di partenza di una storia che riguarderà proprio questo bambino quando sarà cresciuto, circondato dall’affetto di suo padre, ma all’interno di una famiglia tutt’altro che serena e unita. Lo vedremo quando rievocheremo le avventure, prima drammatiche e poi gloriose, di un altro suo fratello, caro al patriarca Giacobbe perché anch’egli figlio di Rachele. Si tratta di Giuseppe, che si è soliti definire “l’egiziano” per l’esperienza sorprendente da lui vissuta in quella terra.

In quegli avvenimenti inattesi avrà un ruolo molto importante proprio il fratellino Beniamino. Noi, però, ci fermiamo davanti alla tomba di Rachele. Ancor oggi all’ingresso di Betlemme un edificio sacro ebreo reca il titolo di “Sepolcro di Rachele”: in passato era meta di pellegrinaggi anche delle donne cristiane e musulmane della regione che imploravano la benedizione divina per ottenere la fertilità e la protezione del Signore sui propri figli. Ora il monumento è in una zona di confine tra ebrei e palestinesi e quindi è isolato.  

Ma la storia di Israele sarà segnata ancora da questo evento doloroso, anche se fecondo. Infatti, il profeta Geremia evocherà il grido estremo di Rachele partoriente ambientandolo, però, in un’altra località, Rama, a Nord di Gerusalemme. Là nel 586 a.C. i Babilonesi avevano raccolto gli ebrei da deportare, dopo la distruzione della città santa. Il profeta immaginava che su quell’area si levasse ancora la voce di Rachele che in quel momento piangeva i discendenti di suo figlio Beniamino e di suo marito Giacobbe-Israele. «Una voce si ode da Rama, lamento e pianto amaro: Rachele piange i suoi figli perché essi non sono più» (Geremia 31,15). L’evangelista Matteo applicherà questo passo alla scena tragica della strage degli innocenti, perpetrata da Erode (2,17). Una curiosità a margine: Beniamino, il figlio amato da Giacobbe, nel linguaggio comune è diventato il termine per indicare la figura più cara e protetta, il “beniamino” appunto di una persona o famiglia.


30.03.2017



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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