Il Sinai, monte della parola divina

Da questa cima, in un'epifania accompagnata da tuoni, lampi e terremoti, Dio dona agli israeliti il Decalogo. L'esperienza del profeta Elia sarà invece più intima e segreta,

Nella prossima settimana, il 6 agosto, si celebra la festa della Trasfigurazione del Signore: essa avviene «su un alto monte» (Matteo 17,1), innominato nei Vangeli, identificato dalla tradizione nel Tabor che si erge sulla pianura di Galilea e che è la meta di tutti i pellegrini in Terrasanta. È questa una delle tante montagne che svettano nella Bibbia: noi non le possiamo salire tutte, pur riconoscendo che esse custodiscono sempre memorie religiose significative per la fede ebraica e cristiana. Ci accontenteremo di proporre ai nostri lettori solo alcune poche ascensioni ideali.

La prima l’abbiamo già compiuta nella precedente puntata della nostra rubrica dedicata all’ecologia biblica: era quella sul Monte Sion, la vetta del tempio gerosolimitano. Ora è la volta di un’altra tappa obbligata, il Sinai, che si leva in una steppa bruciata dal sole e che attualmente ha ai suoi piedi il mirabile monastero bizantino di Santa Caterina, collocato all’interno di un’oasi sorgiva. Come è noto a tutti, è la culla di Israele come popolo alleato del Signore.

Da quella cima, all’interno di un’epifania accompagnata da tuoni, lampi e terremoti, Dio lancia agli israeliti la sua parola, incarnata soprattutto nel Decalogo (Esodo 20), ma anche in una serie di leggi che dovranno reggere la vita spirituale, morale e civile della nazione ebraica quando sarà giunta nella terra promessa, dopo la lunga marcia nel deserto sinaitico. Come ricorderà Mosè, grande mediatore e guida del popolo di Dio, lassù «il Signore vi parlò dal fuoco, voi udivate solo un suono di parole, non vedevate nessuna figura, c’era soltanto una voce» (Deuteronomio 4,12).

Secoli dopo, su quel monte detto anche Horeb salirà pure il profeta Elia, perseguitato e isolato, e là riceverà di nuovo l’investitura divina alla sua missione di testimone della verità e della giustizia. Ma, a differenza dell’esperienza vissuta da Mosè, il Signore non si presenterà all’interno del vento o del terremoto accompagnato da fulmini. La sua sarà solo – come dice l’originale ebraico – una qôl demamah daqqah, una «voce di silenzio sottile» (1Re 19,12), una presenza misteriosa, quasi segreta e intima.

È un’esperienza che dovremmo cercare anche noi sulle vette immerse nel silenzio, un incontro con il divino che non ama il rumore assordante dei mezzi di comunicazione di massa. In questa linea, quasi in sovrimpressione, introduciamo un altro monte più simbolico che reale, modulato proprio sul Sinai. È la montagna delle Beatitudini che è stata, sì, identificata in un poggio che domina il Lago di Tiberiade, ma che in realtà vuole essere una riedizione spirituale cristiana del Sinai.

Là, infatti, sale il nuovo Mosè, Gesù Cristo, che raccoglie e porta a pienezza la parola divina risuonata su quella vetta lontana.

Nasce così il «Discorso della montagna» (Matteo 5-7) che è stato definito la Magna Charta del cristianesimo. A svelarsi ora è un Dio che, senza cancellare la giustizia, annuncia il suo messaggio di amore, di pienezza, di intimità. Egli convoca un popolo fatto di poveri, sofferenti, miti, giusti, misericordiosi, puri, operatori di pace, perseguitati per la giustizia (5,1-12). 


30.07.2020



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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