«Salutate la Chiesa che si riunisce nella loro casa». Così san Paolo nella Lettera ai Romani fa riferimento allo kat’oikon ekklesía, la “Chiesa domestica” ove si radunavano i cristiani a celebrare l’Eucaristia. Lo spazio vitale di una famiglia si trasformava in un piccolo tempio ove Cristo è assiso alla stessa mensa. Anche nei saluti finali della Prima Lettera ai Corinzi l’Apostolo presenta una nota coppia di cristiani, Aquila e Priscilla, «con la Chiesa che si raduna nella loro casa» (16,19). La Lettera ai Colossesi ha questo saluto finale: «Salutate i fratelli di Laodicea, Ninfa e la Chiesa che si raduna nella sua casa» (4,15). Infine, nel biglietto per l’amico Filemone, Paolo si rivolge «alla Chiesa che si raduna nella tua casa» (v. 2). Indimenticabile è la scena dell’Apocalisse: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). Secondo  il filosofo danese Søren Kierkegaard la porta della famiglia cristiana deve «aprirsi verso l’esterno così che possa essere rinchiusa solo andando fuori da sé stessi» nell’esercizio della carità fraterna. Ma è altrettanto vero che l’intimità della casa può essere la sede della presenza divina. E questo si raggiunge quando vi si celebra l’Eucaristia per gli infermi, ma anche con la preghiera e l’educazione cristiana all’interno della famiglia.
 C’è dunque un altro aspetto in questa “sacralità” della casa: la festa. L’uomo è stato creato all’apice della creazione, ma pur sempre nel sesto giorno, e il “sei” è simbolo di limite e incompiutezza. Tuttavia egli può celebrare il sabato che è il tempo di Dio, e quindi di entrare nell’eternità. La festa è la liberazione dal limite delle cose, è comunione con Dio partecipando al suo “riposo”, cioè alla vita spirituale. Pertanto la festa autentica non è un orizzonte vuoto e inerte, come Tacito bollava il sabato ebraico, né è un mero weekend, ma è un evento positivo, un momento di intimità personale con Dio e con la propria coscienza ma anche di unione con la famiglia. Come affermava Benedetto XVI, «il lavoro e la festa sono intimamente collegati con la vita della famiglia: ne condizionano le scelte, influenzano le relazioni tra coniugi e tra genitori e figli, incidono sul rapporto della famiglia con la società e con la Chiesa. La Sacra Scrittura ci dice che la famiglia, il lavoro e il giorno festivo sono doni e benedizioni di Dio per aiutarci a vivere un’esistenza pienamente umana».
 In questa luce si comprende quanto sia rilevante, soprattutto oggi, l’equilibrio tra lavoro e festa. Da un lato, il lavoro è indispensabile per la persona stessa, che Dio ha voluto sulla terra perché la coltivasse e la custodisse (Genesi 2,15), e per la stessa dignità della famiglia. D’altro lato, è necessario anche il riposo, la vita familiare, il culto in casa e con la comunità nel tempio. È, questo, anche il momento del dialogo, dell’agápe, il pranzo comune, segno di amore. Ed è l’occasione per i genitori di offrire ai figli un messaggio morale e religioso per la loro formazione umana e spirituale.
 																			
										27.11.2015
										
																		
						
																		
									Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana