 La santissima trinità, Miniatura di Jean Fouquet (1420 ca. - 1477 ca.). Chantilly, Musée Condé.
  La santissima trinità, Miniatura di Jean Fouquet (1420 ca. - 1477 ca.). Chantilly, Musée Condé.  Partiremo questa volta da una considerazione teologica. Se “l’immagine” divina è da cercare nella coppia umana simile al Creatore nel suo amore generativo e generazionale (vedi Genesi 1,27), è evidente che il segno più illuminante per rappresentare il mistero divino è la relazione familiare. Fondamentale al riguardo è la visione trinitaria cristiana che introduce in Dio un Padre, un Figlio e lo Spirito d’amore. Dio-Trinità è comunione di amore e la famiglia ne è il riflesso vivente. E come i tre umani, uomo-donna-figlio, sono «una carne sola» e, quindi «una cosa sola» (Genesi 2,24; Giovanni 17,11), così Padre-Figlio-Spirito sono un unico Dio. 
 Le parole di san Giovanni Paolo II, pronunciate il 28 gennaio 1979 in Messico, sono illuminanti: «Il nostro Dio nel suo mistero più intimo non è una solitudine, ma una famiglia, dal momento che ci sono in lui la paternità, la filiazione e l’essenza della famiglia che è l’amore. Quest’amore, nella famiglia divina, è lo Spirito Santo. Così, il tema della famiglia non è affatto estraneo all’essenza divina». Se, dunque, la famiglia si riflette nella Trinità, essa è per eccellenza un luogo anche spirituale ove si celebra un sacramento, il matrimonio, il cui effetto perdura nell’esistenza quotidiana.
 Ora, tra le componenti significative di questa “liturgia” familiare c’è l’annuncio e la trasmissione della fede. Già nell’antico Israele la famiglia era il luogo della catechesi: è ciò che brilla nel racconto della celebrazione pasquale (Esodo cc. 12-13) e che sarà esplicitato nella haggadah giudaica, ossia nella “narrazione” dialogica tra padre e figlio che accompagna il rito pasquale, ancor oggi celebrato dal giudaismo all’interno delle case e quindi delle famiglie.
 Il Salmo 78 esalta l’annuncio familiare della fede così: «Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto. Ha stabilito un insegnamento in Giacobbe, ha posto una legge in Israele, che ha comandato ai nostri padri di far conoscere ai loro figli, perché la conosca la generazione futura, i figli che nasceranno. Essi poi si alzeranno a raccontarlo ai loro figli, perché ripongano in Dio la loro fiducia e non dimentichino le opere di Dio, ma custodiscano i suoi comandi» (78, 3-7).
 Il Salmo prosegue poi proprio con il racconto della storia della salvezza nelle sue tappe fondamentali, soprattutto nell’esperienza dell’esodo dall’Egitto, del soggiorno nel deserto e al Sinai e dell’ingresso nella terra promessa. È da sottolineare il verbo della “narrazione” usato dal Salmista: «Ciò che i nostri padri ci hanno raccontato... racconteremo alle generazioni future... I figli... si alzeranno a raccontarlo ai loro figli...». La fede biblica non è una serie di teoremi teologici astratti, ma una storia di eventi che vedono in azione Dio e l’umanità e che per questo devono essere “raccontati”, perché vengano rivissuti nella propria esistenza e si ripropongano nell’esperienza vitale di ogni credente.
 
  																			
										04.12.2015
										
																		
						
																		
									Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana