La consapevolezza del giovane Gesù
										
									
									 Anche se i Vangeli dell’infanzia di Gesù, presenti nei primi due capitoli di Matteo e Luca, non sono testi per bambini, densi come sono di rimandi e allusioni teologiche, anche se la solennità del Natale non dovrebbe essere ridotta a una celebrazione sentimentale, legata solo a dolci ricordi infantili, è indubbio che al centro di quelle pagine ci sono almeno due bambini con le rispettive famiglie: Giovanni il Battista con Elisabetta e Zaccaria; Gesù con Maria e Giuseppe. In questa rubrica mettiamo in scena giovani o temi che rimandano alla giovinezza, tuttavia i vocaboli greci usati per designare il fanciullo come téknon o páis o népios possono riferirsi anche ai gli adolescenti.
 È anche per questo che sull’esperienza infantile di Gesù gli evangelisti vedono proiettarsi la sua stessa vita futura; anzi, sui suoi primi giorni si stende già l’ombra della croce. Si pensi solo al sangue versato dai piccoli eliminati da Erode il quale, in realtà, vorrebbe cancellare il neonato Gesù; oppure si immagini il dramma della famiglia di Nazaret costretta a vivere l’esperienza dei profughi e dei rifugiati in una terra straniera, spesso ostile com’era l’Egitto per gli Ebrei.
 Tuttavia nel finale del racconto di Matteo si evoca già il rientro in patria di Gesù e il suo approdo con Maria e Giuseppe nel loro villaggio d’origine, Nazaret (2,22-23), ove egli trascorrerà la sua adolescenza e giovinezza in un’esistenza nascosta che è squarciata solo dalla fantasia dei Vangeli apocrifi. Anche Luca ricorderà che «a Nazaret, ove era cresciuto, secondo il suo solito, di sabato egli entrava nella sinagoga» (4,16). Lo stesso evangelista evoca l’ingresso di Gesù nella giovinezza con una scena che suggella proprio il suo racconto dell’infanzia di Cristo.
 Intendiamo riferirci all’episodio della permanenza del dodicenne Gesù nel tempio tra i maestri della Legge (Luca 2,41-52). Proprio questa menzione dell’età è signicativa perché è una probabile allusione all’ingresso nella maggiore età. È quello che ancor oggi i ragazzi ebrei celebrano sotto il nome di bar-mitzvah, letteralmente “il figlio del precetto”, perché in quella data il giovane legge per la prima volta in pubblico la Torah, cioè un passo della Legge biblica. L’evento ora è collocato solitamente ai tredici anni e costituisce l’occasione per una festa familiare.
 In quel momento il giovane Gesù, entrato nei pieni diritti dell’ebreo, manifesta ai suoi genitori, prima angosciati e poi stupiti, la sua coscienza di essere il “Figlio” di un Padre divino e trascendente. La dichiarazione che egli pronuncia è passibile di due traduzioni, coincidenti però nell’affermazione della sua profonda e misteriosa identità: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?», oppure: «Non sapevate che devo stare nella casa del Padre mio?» (2,49). Signicativa è l’annotazione che l’evangelista aggiunge sui genitori terreni: «Essi non compresero ciò che aveva detto loro» (2,50).
 È un’esperienza che, in forma evidentemente diversa, vivono molti papà e mamme quando scoprono che la via dei loro figli è differente rispetto a quella da loro sognata. Non per nulla – continua Luca – Maria «custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (2,51), cercando di comprendere quale sarebbe stata la storia di questo giovane obbediente a loro, che «cresce in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (2,52), ma che ha la consapevolezza di una missione superiore. Per Maria inizia un distacco che avrà il suo vertice sulla cima del Calvario quando perderà il figlio nella morte. Eppure lo riavrà attraverso la sua nuova maternità ecclesiale: «Donna, ecco tuo figlio... e al discepolo: Ecco tua madre» (Giovanni 19,26-27).
 																			
										22.12.2016
										
																		
						
																		
									Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana