La dura replica di Gesù a Maria

Facciamo salire sulla ribalta la figura di Maria che si affaccia nel calendario liturgico l’8 dicembre con la solennità della sua Immacolata Concezione, che, cadendo proprio nella seconda domenica d’Avvento, prevale su questa. Nelle sei volte in cui lei interviene nei Vangeli di Luca e Giovanni, due sue frasi sono ambientate nelle nozze di Cana e sono di una semplicità e concretezza assolute: «Non hanno più vino! (...) Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Giovanni 2,3-5).

In verità ciò che imbarazza il lettore è la dura risposta di suo Figlio che aveva già impressionato san Bernardo, il quale parlava di «un aspro rimprovero »: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». L’uso del termine «donna» era allora comune, tant’è vero che Gesù lo ripete con tenerezza sulla croce: «Donna, ecco tuo figlio» (19,26). Da interpretare è, invece, la frase secca che suona letteralmente: «Che (importa) a me e a te?». Anche in questo caso si deve ricorrere al linguaggio semitico in uso allora, ove l’espressione – presente più volte nell’Antico Testamento ma anche nei Vangeli – ha varie sfumature nelle versioni nelle nostre lingue: «Che c’è tra me e te? Cosa vuoi da me? Che devo fare con te?».

Inoltre, concretamente la formula acquista un senso particolare secondo la tonalità e il contesto entro cui viene pronunciata: può esprimere ostilità e molestia o fastidio ma anche un semplice disimpegno. E quest’ultimo è il vero valore che essa ha sulle labbra di Gesù. Egli stesso ne offre la spiegazione con la frase successiva: «Non è ancora giunta la mia ora». Con la prima risposta essenziale, una specie di formula fissa, Cristo si era sottratto alla richiesta di sua madre, ma solo per indicare la condizione indispensabile del suo intervento, quella della sua «ora», come appare nella seconda frase.

Per il Vangelo di Giovanni, l’«ora» è il grande momento della morte e della risurrezione di Gesù, cioè della sua glorificazione, fonte di salvezza per l’umanità. Il gesto, che pure Gesù compirà (e Maria ne è certa: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela»), non dev’essere al allora letto come una semplice risposta a una necessità materiale immediata, la mancanza di vino. Cristo vuole, invece, che sia interpretato come un «segno» più alto, una specie di indice puntato verso un significato più pieno, quello della salvezza (l’«ora»).

E questo significato è da scoprire attraverso il valore simbolico del vino e dello stesso banchetto nuziale che nella tradizione biblica sono un’immagine dell’era messianica: «Il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli, su questo monte (Sion), un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati » (Isaia 25,6). Lo stesso giudaismo sognava il tempo della venuta messianica così: allora ogni vite avrà mille rami, ogni ramo mille grappoli, ogni grappolo mille acini, ogni acino produrrà 460 litri di vino! È chiaro, dunque, il messaggio di questa scena: Gesù compie non un prodigio per risolvere un modesto impaccio familiare, ma attua un «segno» messianico, rivelandosi come il Messia che ore il «vino buono» e «ultimo», cioè la salvezza piena attraverso la sua morte e glorificazione (l’«ora»). Non per nulla in finale Giovanni annota: «Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (2,11).


05.12.2024



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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