La famiglia di Dio

Alle soglie della solennità dei santi, gettiamo uno sguardo oltre l’orizzonte terreno. Là, i nostri occhi contemplano la famiglia di Dio costituita dai santi, descritta nei capp. 21-22 dell’Apocalisse. È significativo che Giovanni, il Veggente, usi i simboli nuziali biblici per raffigurare questa comunità. Infatti, di scena è l’Agnello Cristo e la sua Sposa che è la Gerusalemme nuova. Essi hanno una casa ove risiedono tutti i giusti: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini, egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio» (21,3).
È una famiglia multietnica: «Ecco, una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (7,9). Da essa vengono espulsi coloro che hanno negato nella loro vita la fede e la misericordia: «Fuori i cani, i maghi, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna» (22,15). Infatti, «per i vili, gli increduli, gli abietti, gli omicidi, gli immorali, i maghi, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo» (21,8). In azione è, dunque, anche la giustizia divina.
Ma ciò che domina è la misericordia amorosa del Signore che si rivela veramente padre. Infatti, «egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno» (21,4). In ogni casa terrena, accanto alla gioia e al sorriso, sono insediati ospiti meno graditi come la sofferenza e la morte. La nuova tenda che Dio prepara nella sua città sarà, invece, libera da queste presenze amare e tragiche: «Non vi sarà più maledizione» (22,3).
Anzi, il Giovanni dell’Apocalisse, ereditando un’immagine del profeta Ezechiele (47,1-12), dipingerà la città ove la famiglia di Dio è raccolta per sempre secondo una planimetria segnata da pietre preziose ma anche da «un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello... Da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero della vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese e le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni» (21,1-2).
È suggestiva questa premura di Dio che, ricostruendo il paradiso terrestre con l’albero della vita immortale, si preoccupa anche di curare le ferite che questa comunità così variegata culturalmente, etnicamente e socialmente ha dovuto subire durante la sua esistenza terrena. «A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere alla fonte dell’acqua della vita» (21,6). Ed è a questo punto che avviene la piena definizione della famiglia di Dio. Accanto all’Agnello e alla sua Sposa si allineano tutti i santi a ciascuno dei quali il Signore dice: «Io sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio» (21,7).
Sul ritratto della Gerusalemme celeste si stende, dunque, il manto dell’amore misericordioso e paterno di Dio, la cui presenza era già registrata, in apertura del libro, per le sette Chiese dell’Asia Minore (capp. 2-3). In ciascuna di esse – dato che ancora erano stanziate nel terreno della storia – si levavano forti alcune parole divine di giudizio severo sul loro operato. Ma risuonava anche la voce della misericordia che sosteneva queste famiglie cristiane riunite nel nome di Gesù: «Al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita» (2,7).


27.10.2016



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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