Le aristocratiche a favore o contro Paolo

Il cristianesimo delle origini ebbe il suo primo seguito soprattutto negli strati popolari. Tuttavia, non mancò di attirare l’attenzione anche delle classi alte. La scorsa settimana, per esempio, abbiamo presentato Maria, la madre di Marco, forse l’evangelista, che a Gerusalemme risiedeva in un palazzo con portale e aveva della servitù (si citava la sua domestica Rode, cioè Rosa). Dalla Lettera ai Romani apprendiamo da san Paolo che tra i cristiani di Corinto c’era anche «Erasto, tesoriere della città», in pratica l’assessore alle finanze di quella importante città portuale (16,23).

Nella nostra carrellata di volti femminili tracciati da Luca nella sua seconda opera, gli Atti degli Apostoli, ci si imbatte anche in alcune donne aristocratiche che avevano scelto la via proposta dalla nuova fede. È interessante registrare questo fenomeno nella capitale della grande cultura classica, Atene, ove Paolo era giunto dopo essere stato nell’altro centro prestigioso, Tessalonica. In quest’ultima città, che oggi è la seconda metropoli della Grecia, l’apostolo aveva tenuto ben tre sermoni in sabati successivi in sinagoga: «Alcuni giudei furono convinti e aderirono a Paolo e Sila [suo collaboratore], come un gran numero di greci credenti in Dio e non poche donne della nobiltà» (17,4).

Anche nelle tappe successive di avvicinamento ad Atene, nella città di Berea, l’attuale Veria, un’ottantina di chilometri a ovest di Tessalonica, dopo aver ascoltato Paolo, «molti giudei e non pochi greci, donne della nobiltà e uomini divennero credenti» (17,12). Ma, come si diceva, la grande meta del viaggio missionario dell’apostolo era Atene. Celebre è il discorso che egli pronuncia all’Areopago, la collina ove aveva sede il supremo tribunale ateniese, davanti a un consesso di persone colte e nobili (17,22-31). Sappiamo anche come Paolo abbia cercato di elaborare quell’intervento in modo raffinato, con citazioni di poeti greci famosi come Arato di Soli e Cleante, autore di un famoso Inno a Zeus, entrambi del III sec. a.C.

Conosciamo anche l’insuccesso finale, quando egli aveva messo al centro il tema della risurrezione di Cristo, ostico alla cultura “spiritualistica” greca. Tuttavia, pur in mezzo ai motteggi e alle ironie di molti, alcuni uditori rimasero conquistati e, tra questi, Luca evoca Dionigi, membro di quel tribunale, l’Areopago, e «una donna di nome Damaris» (17,34), certamente aristocratica (il suo nome significa “invocata dal popolo”). Tuttavia non dobbiamo ignorare che, altre volte, furono proprio le nobildonne a opporsi con durezza alla predicazione di Paolo.

È il caso di Antiochia di Pisidia, una città della Galazia romana, regione dell’attuale Turchia centrale, ove era presente una forte comunità giudaica. L’apostolo aveva tenuto nella locale sinagoga un importante discorso (13,1343). «Ma i giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li cacciarono dal loro territorio» (13,50). Come spesso accadrà, la figura di Cristo e il suo messaggio erano «segno di contraddizione» (Luca 2,34).


24.10.2019



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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