NÓMOS: legge

«Non crediate che sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti». Questa famosa dichiarazione di Gesù nel suo Discorso della montagna (Matteo 5,17) introduce il primo dei quattro significati che la parola «legge», in greco nómos – termine presente 194 volte nel Nuovo Testamento con una costellazione di altri vocaboli derivati – può acquistare nella Bibbia. Come nel passo evangelico citato, può designare ciò che gli Ebrei chiamano Torah. Il vocabolo ebraico di per sé significa «insegnamento», e abbraccia i primi cinque libri della Bibbia, il cosiddetto Pentateuco, composto da Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.

Il termine Torah è tradotto solitamente con «Legge» perché vaste porzioni di quei libri (in alcuni casi, come nel Levitico o nel Deuteronomio, la quasi integralità) sono costituite da apparati legislativi e normativi non solo religiosi e morali ma anche civili e penali. Ecco, allora, la seconda accezione in senso stretto: la Bibbia, proprio perché non è un’astratta rivelazione del mistero di Dio, ma è uno svelamento dell’ingresso del Signore nella storia, indica la via concreta e quotidiana per camminare con Dio e collaborare al suo progetto di giustizia e pace, via espressa attraverso comandamenti e precetti.

In questa luce si tende a identificare «Legge» e «Parola di Dio» e questo è attestato dal più ampio dei Salmi, il 119 (118), un canto in 22 strofe e 176 versetti che celebra la Legge-Parola nel suo valore esistenziale e religioso, come appare in modo luminoso nel v. 105 di quel Salmo: «Lampada per i miei passi è la tua parola e luce sul mio cammino». È naturale che nella ricca e complessa legislazione biblica alcuni comandamenti acquistano un valore primario e decisivo: pensiamo al Decalogo (Esodo 20), oppure alla norma sulla circoncisione, come segno dell’alleanza tra il Signore e il suo popolo, o a quella sul sabato, cuore del culto ebraico.

I profeti cercheranno di trasferire la Legge biblica da un orizzonte legale, giuridico e sociale a un ambito più personale, esistenziale e spirituale. È, questa, un’operazione interpretativa che ci conduce alla terza accezione del termine «Legge». Già Gesù nel Discorso della montagna – nelle celebri sei «antitesi» (Matteo 5,21-48) – aveva cercato di superare l’osservanza estrinseca del dettato dei precetti della Legge, conducendoli alla loro pienezza di amore, di fedeltà, di verità, di giustizia. Era un modo per affermare la validità della Legge anche per il cristiano, ma non tanto nell’esteriorità della formulazione bensì nella sostanza profonda spirituale, tant’è vero che nel versetto sopra citato di Matteo (5,17) Cristo continua: «Non sono venuto ad abolire [la Legge] ma per portarla a pienezza».

A questo punto giungiamo alla quarta interpretazione del termine nómos. È a san Paolo che dobbiamo una complessa riflessione sulla Legge biblica. In sé è santa, giusta, spirituale (Romani 7,12.14.16), «promulgata per mezzo di angeli» (Galati 3,19). Essa, però, diventa incapace di salvarci quando è assunta come un sistema di opere che l’uomo deve eseguire per guadagnarsi la salvezza col suo solo merito. È come se una persona, immersa in una palude o nelle sabbie mobili, cercasse di liberarsi da sola alzando freneticamente le braccia verso l’alto. Dall’abisso del peccato in cui noi siamo è solo la mano di Dio che può estrarci attraverso la sua grazia, accolta dalla persona umana nella fede.

È per questo che l’apostolo dichiara: «L’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge» (Romani 3,24). Questo non toglie che la Legge diventi, dopo l’accoglienza della grazia divina, una guida di vita: è, quella che l’apostolo denomina «la Legge dello Spirito». Essa ci fa comprendere che è l’amore la sintesi e l’anima di tutti i precetti: «Chi ama ha adempiuto la Legge… Qualsiasi comandamento si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso… Pienezza della Legge è la carità… Tutta la Legge, infatti, trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Romani 13,8-10; Galati 5,14).


13.10.2022



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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