Rifiorisca il deserto e ritorni un giardino

I luoghi aridi nella Scrittura sono lo spazio della tentazione ma anche dell’incontro con Dio. Rappresentano inoltre una conseguenza della devastazione prodotta dal peccato.

«Deserti esteriori si moltiplicano nel mondo perché i deserti interiori sono diventati così ampi. I tesori della Terra non sono più al servizio della coltivazione del giardino di Dio, nel quale tutti possono vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione». Queste parole di papa Benedetto XVI delineano in modo incisivo il sovrapporsi di due deserti, come spesso si registra anche nella Bibbia. Le steppe del Sinai, ove marcia Israele verso la Terra promessa, sono il luogo della tentazione e persino dell’idolatria (il vitello d’oro), ma anche l’orizzonte della rivelazione divina, con le parole del Signore che discendono dalla vetta rocciosa del Sinai nella steppa ove è accampato il popolo.

Il deserto è anche il fondale ove Gesù è tentato da Satana, ma è pure lo spazio in cui si ritira tutto solo a pregare e a dialogare col Padre celeste. Giobbe, quando deve denunciare l’incomprensione dei suoi amici, ricorre alla scena dei torrenti della steppa che «nel tempo della siccità svaniscono…; le carovane deviano dalle loro piste, avanzano nel deserto e vi si perdono» cercandoli per dissetarsi (6,17-18). Ma è anche lo spazio dell’intimità nella solitudine, come ricorda il profeta Osea, sperando di riabbracciare sua moglie Gomer che l’ha abbandonato: «Ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (2,16).

Potremmo continuare a lungo a evocare il tema del deserto che popola molte pagine bibliche, spesso con un duplice registro simbolico, il positivo e il negativo, entrambi abbozzati nel nostro ritratto. È, comunque, interessante quell’incrocio tra i due deserti, l’esteriore e quello spirituale, suggeriti da papa Ratzinger. Infatti, nella condanna che Dio emette nei confronti dell’uomo peccatore che ha squarciato il tessuto di armonia voluto dal Creatore tra umanità e natura, si ha questa essenziale descrizione della terra arida ridotta a un deserto: «spine e cardi produrrà per te» (Genesi 3,18).

La devastazione del peccato si ripercuote all’esterno, con l’egoismo o l’indifferenza dell’uomo che trasforma il giardino dell’Eden nel primordiale tohu wabohu, «la terra informe e deserta», simbolo del nulla (1,2). Un annientamento che noi ora potremmo illustrare con la contaminazione dei terreni e dei mari, coi gas inquinanti, i riuti nocivi, il buco dell’ozono, il rischio nucleare e così via, in una lunga litania di atti nefasti che consumiamo nell’«aiuola che ci fa tanto feroci», per usare un celebre verso dantesco (Paradiso XXII, 151).

L’appello che Dio ci rivolge è quello di ricomporre il legame che ci unisce alla natura così da riportare il deserto a un giardino, come si proclama in una pagina del profeta Isaia: «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e orisca la steppa. Come ore di narciso orisca… Le sia data la gloria del Libano e lo splendore del Carmelo e di Saron», i paesaggi più verdeggianti della Terrasanta (35,1-2). A suggello poniamo la riscrittura di un famoso precetto biblico, così come ce la suggerisce Enzo Bianchi: «Ama la terra come te stesso!».


24.09.2020



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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