Uno splendido affresco poetico

Il Siracide rappresenta la grandezza di Dio con la bellezza della natura: il firmamento, la neve e la brina, la rugiada e il mare innalzano un inno di lode al Creatore

«La natura ha delle perfezioni per mostrare che è l’immagine di Dio, e dei difetti per mostrare che ne è soltanto l’immagine ». Così il grande credente, pensatore e scienziato secentesco francese Blaise Pascal nei suoi Pensieri. Noi, tenendo in mano la Bibbia e sfogliandone alcune pagine, abbiamo da tempo voluto rappresentare le perfezioni del creato. Lo facciamo anche in questa puntata della nostra rubrica ecologico- biblica, invitando i lettori a contemplare uno splendido affresco poetico, tratteggiato dal Siracide, un sapiente biblico del II sec. a.C.

Si tratta di un inno che inizia in 42,15 del suo libro e si conclude in 43,33, segnato dalla convinzione che la natura sia appunto un’«immagine di Dio», anche se limitata e imperfetta. Infatti, «come il sole che sorge illumina tutto il creato, così della gloria del Signore è piena la sua opera» (42,16). Per questo, di fronte all’architettura cosmica, l’uomo non può che esclamare: «Egli [Dio] è tutto» (43,27). Il poeta s’affaccia con stupore sulle meraviglie dell’universo che sfiƒlano davanti ai suoi occhi affascinati da tanta bellezza, quasi fosse una ripresa ƒlmica.

Si parte dal fiƒrmamento luminoso, dominato dall’incandescenza dei raggi solari. Subentra il quadretto dedicato alla luna che è simile a un orologio cosmico perché scandisce il calendario liturgico e civile che allora era lunare e non solare. Ad essa si associano le stelle, simili a sentinelle che vegliano nella notte. Subito dopo irrompe maestoso l’arcobaleno, tracciato nel cielo dalla stessa mano divina. Subentra, poi, la meteorologia coi fulmini, le nubi che «volano come uccelli da preda», i chicchi di grandine, il tuono che fa sobbalzare la terra, i venti impetuosi.

Una deliziosa miniatura è riservata alla neve la cui caduta lieve è comparata al volo degli uccelli e degli stormi delle cavallette: «Il suo candore abbaglia gli occhi e, al vederla ƒoccare, il cuore rimane estasiato » (43,18). Tocca, poi, alla brina, i cui grani brillano come cristalli sui rami. Queste immagini invernali si chiudono con la gelida tramontana che fa ghiacciare le acque, rivestendole quasi di una corazza.

È la volta, poi, per contrasto dell’estate che, con la sua arsura, fa bruciare la vegetazione e fa sospirare la rugiada che feconda il terreno arido. L’ultima serie di scene è dedicata al mare ove sono «piantate» come oasi o ƒori le isole. Delle sue profondità abissali, popolate di mostri, delle sue tempeste furiose e dei relativi territori rimangono le testimonianze dei naviganti che possono salvarsi solo affiƒdandosi alla parola divina che placa le onde (si legga anche l’emozionante rappresentazione marina del Salmo 107,23-32). L’esclamazione iniziale dell’inno del Siracide suonava così: «Quanto sono amabili tutte le sue opere! Eppure appena una scintilla riusciamo ad osservare… Chi si sazierà di contemplare la sua gloria?» (42,22.25). La fiƒnale è analoga: «Egli è il Grande, al di sopra di tutte le sue opere… Chi lo ha contemplato e lo descriverà, chi può magniƒcarlo come egli è? Vi sono molte cose nascoste più grandi di queste: noi contempliamo solo una parte delle sue opere» (43,28.31- 32). L’inno non è, dunque, una lirica sulla natura ma una preghiera di lode al Creatore.


17.09.2020



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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