Tutti una cosa sola

   Con questa tappa concludiamo il commento dei testi biblici del Lezionario liturgico del matrimonio. Ora di scena è il passo di Giovanni 17,20-26. È l’ultimo paragrafo della cosiddetta «preghiera sacerdotale», un testo solenne, intenso, ritmato su alcuni termini che risuonano con insistenza.

La prima domanda che Gesù rivolge al Padre è dominante in tutta la preghiera. Qui è ripetuta quattro volte: «Tutti siano una cosa sola». L’unità è come un filo d’oro che deve porre in comunione divinità e umanità: il Figlio è unito al Padre, i discepoli sono uniti al Figlio, i discepoli sono uniti tra loro. Questo filo anche quando, per altre quattro volte, Gesù parla dell’amore: il Padre ama il Figlio, il Figlio ama i discepoli e i discepoli si amano reciprocamente.

C’è, quindi, nell’unità e nell’amore una sorgente divina che dà origine a un fiume che si distende nella storia e raggiunge noi oggi, in particolare la coppia credente che nella sua unità e nel suo amore sente l’azione fecondatrice di Dio. C’è un altro tema che percorre la preghiera di Gesù: il “conoscere”, ribadito almeno sei volte con termini diversi («il mondo sappia... il mondo non ti ha conosciuto... io ti ho conosciuto... essi sanno... io ho fatto conoscere il tuo nome e lo farò conoscere... »).

Ritorna il filo che univa i temi precedenti: il Figlio conosce il Padre e lo fa conoscere ai discepoli che così «contemplano la gloria» divina. Il verbo “conoscere” nella Bibbia è carico di risonanze inedite per noi occidentali. Coinvolge in modo “circolare” tutto l’essere dell’uomo e tutto l’orizzonte che lo circonda. Conoscere è anche sapere, ma è soprattutto volere, desiderare, decidere, amare, fare.

Il verbo è usato per descrivere l’atto d’amore della coppia che nei corpi esprime la totalità dell’amore che la unisce. Il credente “conosce” Dio, cioè lo ama, e “conosce” il fratello impegnandosi per lui quando è nel dolore, godendo con lui quando è nella gioia, soccorrendolo quando è nella povertà. In questa luce l’esperienza del credente nel sacramento dell’amore, il matrimonio, non è mai né solo arte d’amare né tanto meno solo “chimica d’amore”, non è solo teoria e neppure solo storia d’amore. È anche esperienza teologica, è una vicenda che parla di Dio e che vive di Dio.

Ed è su questa strada che gli sposi incontrano «la gloria di Dio». Un bel testo rabbinico del Talmud dice: «Il Signore venne dal Sinai per accogliere il suo popolo come un fidanzato va incontro alla sua fidanzata». Lo sposo e la sposa credenti vanno alla ricerca di Dio percorrendo la via del loro amore matrimoniale e familiare e Dio si mette alla loro ricerca proprio sulla stessa via.

E l’abbraccio è fonte di salvezza perché «il Signore preserva l’amore di coloro che si amano; lui sa quanto due esseri sono deboli e fragili, e quanto inquieto e mutevole sia il loro cuore. Fa loro comprendere anche il mistero che amare è soffrire e che donare è vivere e li rende infinitamente teneri affinché riescano a vivere insieme anche la notte» (S. Hosteruis).


24.07.2015



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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