Un giovane chiamato Saulo
										
									
									 Giovedì prossimo celebreremo la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo. Abbiamo così pensato di ricostruire la giovinezza di Paolo, con le poche informazioni in nostro possesso, desunte dalle sue lettere e dagli Atti degli apostoli. Terremo come linea di demarcazione l’esperienza della via di Damasco che segnò una svolta radicale nella sua biografia. Risaliamo innanzitutto alle sue radici: la sua “carta d’identità” recava i “timbri” ideali di tre culture differenti.
 Egli è innanzitutto un ebreo, come attesta il suo nome originario che è quello del primo e sfortunato re di Israele, Saul. Davanti al tribunale romano che gli chiede le generalità al momento dell’arresto a Gerusalemme egli dichiara: «Sono un ebreo di Tarso in Cilicia» (Atti 21,39). Agli amati cristiani greci di Filippi ribadiva vigorosamente di essere stato «circonciso l’ottavo giorno, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, fariseo secondo la legge» (3,5). Polemicamente ai suoi detrattori ebrei di Corinto rivendicava la purezza della sua matrice: «Sono essi ebrei? Anch’io lo sono. Sono israeliti? Io pure. Sono stirpe di Abramo? Anch’io» (2Corinzi 11,22).
 La sua appartenenza all’ebraismo rivelava persino un aspetto integralistico, al punto tale che la sua entrata in scena negli Atti degli apostoli avviene durante il linciaggio del primo martire cristiano Stefano: i lapidatori e i testimoni «deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane chiamato Saulo... E Saulo approvava l’uccisione» (7,58; 8,1). Egli stesso non esiterà a confessare il suo fanatismo anticristiano ai Galati: «Oltre ogni misura perseguitavo la Chiesa di Dio cercando di distruggerla» (1,13). E ai Filippesi dichiarava: «Ero uno zelante persecutore della Chiesa» (3,6). Non per nulla il Cristo della folgorazione di Damasco lo aveva rimproverato: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?».
 Formatosi a Gerusalemme, «alla scuola di Gamaliele, nelle più rigide norme della legge dei Padri» (Atti 22,3), educato secondo l’uso giudaico anche al lavoro manuale, quello del «fabbricante di tende», Paolo era però un giudeo della Diaspora, nato a Tarso, «non oscura città della Cilicia», come egli la definisce con una punta di civetteria (21,39). Si spiega, così, la sua seconda identità, quella di cittadino romano, perché Tarso era giuridicamente città romana per decreto di Augusto. Col suo secondo nome latino, Paolo, userà con orgoglio la dignità di cittadino dell’impero, appellando – come è noto – al tribunale supremo romano (Atti 22,28).
 Infine, Saulo Paolo non è solo un ebreo e un romano ma è anche una persona partecipe della cultura ellenistica. Egli usa il greco, che era un po’ l’inglese di allora, per le sue lettere e lo fa in modo creativo, forgiandolo con grande libertà, assegnando significati nuovi a molti vocaboli greci. Queste tre identità del giovane Paolo sono indispensabili, perciò, per comprendere il suo futuro di apostolo, quando egli riconoscerà che Cristo «è apparso anche a me... Dio si è degnato di rivelarmi il suo Figlio... e io sono stato afferrato da Cristo Gesù» (1Corinzi 15,8; Galati 1,16; Filippesi 3,12).
 A margine ricordiamo che egli, convocato a Cesarea Marittima dal re giudaico Agrippa, ospite del governatore romano Festo, dirà: «La mia vita, fin dalla giovinezza, vissuta sempre tra i miei connazionali e a Gerusalemme la conoscono tutti i Giudei» (Atti 26,4). E tra i suoi collaboratori sceglierà spesso dei giovani, com’è il caso dell’amato Timoteo a cui scriverà nella Prima Lettera a lui indirizzata: «Nessuno disprezzi la tua giovane età» (4,12). Ma nella Seconda Lettera non esiterà ad ammonirlo: «Sta’ lontano dalle passioni della gioventù » (2,22).
 																			
										22.06.2017
										
																		
						
																		
									Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana