Il giovane e la prostituta

«Mentre dalla finestra della mia casa stavo osservando dietro le inferriate, ecco vidi dei giovani inesperti e tra loro scorsi un ragazzo senza criterio...». Si apre così un quadretto vivacissimo di denuncia della prostituzione, dipinto nel capitolo 7 del libro biblico dei Proverbi (vv. 6-27). È come se un obiettivo televisivo o cinematografico inseguisse questo giovane che, approfittando del buio che sta scendendo sulla città, s’avvia verso una prostituta che sta in agguato per le strade o per le piazze adescando i clienti.

«Lo afferra, lo bacia» e lo trascina verso una casa e una camera da letto, vogliosa di possederlo: «Ho messo coperte soffici sul mio letto, lenzuola ricamate di lino egiziano, il giaciglio è profumato con mirra, aloe e cinnamomo. Vieni, inebriamoci d’amore fino al mattino, godiamoci insieme i piaceri amorosi». Anzi, riesce a introdurre anche il gusto del proibito attraverso la menzione di un marito assente, «partito per un lungo viaggio». L’analisi che il sapiente fa anche a livello psicologico è molto incisiva: «Lo lusinga con tante moine, lo seduce con labbra allettanti».

Alla fine, ecco la frustata del giudizio morale, venato anche di ironia: «Egli incauto la segue, come un bue condotto al macello, come un cervo irretito da un laccio, finché una freccia gli trafigge il fegato, come un uccello che piomba nella rete e non sa che la sua vita è in pericolo». Lentamente la scenetta lascia il passo a una considerazione spirituale che è come una pietra tombale sulla miseria vergognosa a cui va incontro questo giovane bovinamente succube dell’istinto e della sua perversione: «Strada verso il regno dei morti è la sua casa; essa scende nelle dimore della morte».

Si cerca di concentrare in questa immoralità sessuale altre deviazioni come l’adulterio, senza escludere la tentazione idolatrica, perché nell’Antico Testamento la “prostituta” è l’epiteto riservato alle sacerdotesse dei culti della fecondità, caratteristici delle popolazioni indigene della Terrasanta. Ma davanti ai nostri occhi si ripresenta lo squallido panorama di certe vie delle nostre città ove la prostituzione imperversa e dove l’ignominia dei clienti incarna proprio quell’aspetto “bestiale” descritto dall’autore biblico attraverso il ricorso a immagini animali. Un’ignominia che non conosce età e che si aggrava pensando al fatto che spesso queste donne sono vere e proprie schiave, costrette con la violenza o il ricatto economico a un simile destino.

Per il realismo che la sapienza biblica rivela nel suo ritratto della società, è frequente il monito che il padre-maestro rivolge al figlio-discepolo perché non precipiti in questo abisso di morte spirituale. Ecco qualche esempio di questi ammonimenti simili a lampi che squarciano l’oscurità ove s’annida il male: «Fa’ bene attenzione a me, figlio mio...: una fossa profonda è la prostituta e un pozzo stretto la straniera adescatrice. Ella si apposta come un ladro e fra gli uomini fa crescere il numero dei traditori... La bocca della prostituta è una fossa profonda, vi cade colui che è in ira al Signore» (23,26-28; 22,14).

Questa pagina sapienziale antica ha una sua inesorabile attualità anche quando pensiamo alla fiumana inarrestabile di pornografia che inquina gli schermi dei computer e che si insinua nelle giovani generazioni, cancellando in loro ogni fremito di moralità e conducendoli spesso a degenerazioni infami e persino alla violenza e alla brutalità. Si spegne, così, la bellezza dell’amore e si inaridisce la tenerezza della relazione tra persone che si conoscono e si donano nella gioia e nella libertà dell’anima.


29.06.2017



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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