Una strana parola: ermeneutica

«Lei ha ripetuto per anni che è necessario per i credenti conoscere la Bibbia, come lo è anche per chi non crede perché essa è il “grande codice” della nostra cultura occidentale. Ma come interpretare tante pagine datate, scandalose, violente che infestano l’Antico Testamento e non lasciano indenne neppure il Nuovo, ad esempio, con l’Apocalisse?». Queste righe di una lettera a me rivolta anni fa si sono ripetute con varianti in tanti altri scritti o in quesiti dopo le conferenze bibliche.

In verità la domanda tocca nel vivo la mente e il cuore di chi vuole accostarsi alla Bibbia e mette in difficoltà chi deve rispondere in modo diretto. Tecnicamente si tratta della questione ermeneutica, ossia dei criteri per una corretta interpretazione delle Sacre Scritture (il termine, di matrice greca, rimanda al dio Ermes, interprete della volontà e degli oracoli degli dèi). Esse infatti – teologicamente parlando – per il credente presentano per così dire due nature, come Gesù Cristo, il Verbo cantato da san Giovanni nel prologo del suo Vangelo: «Il Verbo divenne carne» (1,14). Da un lato, esse sono parola eterna divina; d’altro lato, sono parole “incarnate” in una storia, in un linguaggio umano e in tre lingue concrete (l’ebraico, l’aramaico, il greco). È, perciò, chiaro che duplice dev’essere anche l’approccio interpretativo.

Come parola «ispirata» di Dio, la Bibbia esige che ci siauna guida superiore, capace di far cogliere la verità di fede e di vita che è deposta nel testo storico-letterario. È per questo che Cristo, riguardo alla comprensione piena delle sue stesse parole, promette l’aiuto dello Spirito Santo che «insegnerà ogni cosa, vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto... e vi guiderà alla verità tutta intera» (Giovanni 14,26; 16,13). Nell’affermare le verità fondamentali della fede, la Chiesa è, allora, sostenuta e condotta dallo “Spirito di verità” donato dal Padre e dal Cristo risorto.

Queste verità trascendenti sono state, però, rivelate dentro eventi storici e parole umane. È, quindi, necessaria una strumentazione storico-critica adatta a sciogliere i nodi delle vicende e del linguaggio umano, legato a coordinate temporali, spaziali e culturali differenti da quelle in cui nei secoli successivi (e nello stesso presente) i lettori sono vissuti. Non è possibile adottare solo uno dei due criteri interpretativi, pena la frattura dell’unità divino-umana delle Scritture.

Se infatti ignoro la loro “incarnazione” nella storia e nella loro civiltà, scegliendo una lettura “letterale” (cioè così come suona il testo) e immaginando che quella sia la verità “evidente” che la Bibbia vuole comunicarmi, posso giungere a risultati fuorvianti perché il linguaggio allora usato aveva canoni differenti dai nostri e la stessa vita sociale e culturale era ben diversa e datata. Se procedo in tal modo, mi sfugge la vera intenzione dell’autore ispirato, e quindi di Dio.

Se invece ignoro l’ausilio dello Spirito Santo per penetrare nel livello profondo di rivelazione del mistero e della verità di Dio, riduco le Scritture a meri testi letterari dell’antico Vicino Oriente, da accostare alle altre letterature. Com’è evidente, il processo “ermeneutico” esige una verifica su due piani, quello trascendente e quello storico, secondo criteri precisi che sono stati codificati sia in sede teologica sia in sede storico-critica. Spero che i lettori siano stati coraggiosi nel seguirmi finora in questo orizzonte complesso e arduo. Per cercare di renderlo più concreto, cercherò di proporre sul tema dell’interpretazione biblica alcune puntate successive, consapevole di rivelare un volto un po’ “professorale” ma anche di non esaurire le domande che affioreranno.


06.06.2024



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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