La bisaccia del giovane viandante

«L’esempio degli antenati è come una bisaccia per il giovane viandante». Così l’antica sapienza egiziana ammoniva le giovani generazioni. Qualche spirito malizioso potrebbe obiettare che nella nostra epoca di padri e madri assenti o poco esemplari quella bisaccia potrebbe ridursi alle pochette dove i figli conservano solo la paghetta che ricevono dai loro genitori. Eppure in tutte le culture il rapporto padre-figlio è modulato come se si trattasse di un nesso tra maestro e discepolo. In questo senso è esemplare quella letteratura biblica che viene definita “sapienziale”.

Come dice questo termine di matrice latina, la sapienza non è soltanto sapere ma soprattutto avere sapore. L’intelligenza, infatti, può essere anche arida e persino criminale, la vera saggezza forma le coscienze perché sboccia dall’anima, genera la coerenza morale e si affaccia sul senso ultimo della vita. Esemplari a questo riguardo sono i consigli che sono raccolti sia nel libro dei Proverbi, un testo al quale avremo occasione di attingere a più riprese, sia nel Siracide, uno scritto del II sec. a.C., sia nel libro della Sapienza, composto forse alle soglie del cristianesimo. In realtà tutta la Sacra Scrittura è costellata di passi sapienziali.

Basti solo citare questo versetto del Salmo più imponente, il 119, fatto di ben 176 versetti e di 1.064 parole ebraiche, un canto alla Legge e alla Parola di Dio: «Come potrà un giovane tener pura la sua via? Osservando la tua parola» (v. 9). Ma ritorniamo al libro dei Proverbi, ove due sono le virtù intellettuali e morali da imparare, l’hokmah, cioè la sapienza (in greco sophía), e il musar, la disciplina, l’educazione, quella che i greci chiamavano paideia, vocabolo dal quale deriva la nostra “pedagogia”. Ecco solo alcune battute iniziali di quel libro che ne illustrano il programma: «Conoscere la sapienza e l’educazione, capire i detti intelligenti, acquistare una saggia formazione, equità, giustizia e rettitudine, rendere accorti gli inesperti e dare ai giovani conoscenza e riflessione» (1,2-4).

L’invito è, allora, esplicito: «Ascolta, figlio mio, l’istruzione di tuo padre e non disprezzare l’insegnamento di tua madre... Figlio mio, se i malvagi ti vogliono sedurre, tu non acconsentire!» (1,8.10). Si può procedere a lungo nel citare queste lezioni e avremo occasione di farlo a più riprese, ricordando anche che «il timore del Signore è principio di sapienza» (1,7): detto in altri termini, la fede (“temere il Signore” è equivalente al nostro “credere”) è una base fondamentale per la maturazione personale del giovane. I risultati di questa educazione, se positivi, rendono felici i genitori (23,25). C’è, però, anche uno sbocco infausto quando il giovane si rivela ostinato: «Un figlio insipiente è un tormento per suo padre e un’amarezza per colei che l’ha partorito» (17,25).

La formazione è un impegno che i genitori e i maestri devono esercitare con attenzione: «Indirizza il giovane sulla via da seguire, neppure da vecchio se ne allontanerà» (22,6). È in questa luce che vorrei concludere con il monito di un famoso giornalista che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente e di dialogare con lui, Indro Montanelli. Nel suo scritto autobiografico Soltanto un giornalista scriveva: «L’unico consiglio che mi sento di dare ai giovani è questo: combattete per quello in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Ma solo una potrete vincerne. Quella che s’ingaggia ogni mattina davanti allo specchio». La coerenza, quindi, con i valori in cui si crede, perché bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare come si è vissuto.


26.01.2017



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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