La moglie straniera di Mosè

Quella che ora presentiamo è una particolare coppia di giovani sposi: il marito avrà una funzione capitale nella storia biblica, lei gli sarà al fianco e gli darà due figli. Il personaggio maschile non ha bisogno di presentazione. È, infatti, Mosè, la grande guida dell’esodo di Israele.

Adesso egli è solo un principe allevato alla corte del faraone, dopo essere stato raccolto sulle sponde del Nilo e adottato dalla figlia del re d’Egitto (Esodo 2,1-10). Dentro le sue vene, però, correva sangue ebreo e, cresciuto, si era ribellato alle angherie a cui era sottoposto il suo popolo. Era stato, così, costretto a riparare nel deserto sinaitico. È in quelle lande aride che egli aveva incontrato l’amore della donna che stiamo per far salire alla ribalta.

Il suo nome era Zippora, che in ebraico indica un “uccello” femmina, forse un totem della sua tribù; ma noi potremmo fantasticare che, chiamandola, Mosè potesse come gli innamorati di oggi, dirle: «Passerotto mio». Certo è che l’aveva conosciuta in modo strano. Assetato, aveva raggiunto un pozzo nel deserto di Madian, un’area posta forse verso l’attuale golfo di Aqaba. Là era giunta anche Zippora col gregge del padre, un sacerdote di cui la Bibbia ci dà due nomi, Reuel e Ietro.

Con lei c’erano le altre sue sei sorelle. Ma, all’improvviso, ecco irrompere alcuni pastori che, con la prepotenza maschile, cacciano quelle donne dal pozzo. Mosè con veemenza prende le parti delle ragazze e le aiuta ad attingere acqua. Tornate a casa, esse avevano raccontato l’episodio al padre che le aveva mandate a cercare quell’uomo che vagava solitario nel deserto, per ospitarlo a casa sua e concedergli in moglie Zippora. I due ebbero un figlio che Mosè volle chiamare Ghershom, cioè “straniero qui” “forestiero in questo luogo”, proprio come lo era anche suo padre (Esodo 2,16-22).

Passarono gli anni e Mosè rientrò in Egitto ove si mise a capo della rivolta degli Israeliti contro il potere oppressivo del faraone. Il libro dell’Esodo narra le vicende di quel periodo, che sfociarono nell’epopea della marcia verso la terra promessa. La colonna che stava avanzando attraversò la regione ove Mosè aveva sposato Zippora. Ed ecco profilarsi all’orizzonte proprio lei, accompagnata da suo padre Reuel-Ietro, da Ghersom e da un altro figlio, Eliezer (“Dio è il mio aiuto”) di cui nella Bibbia non si era parlato prima.

Quell’incontro fu prezioso perché il vecchio suocero, che era un capo-tribù, ebbe l’occasione di suggerire saggi consigli al genero sulla gestione del potere, proponendogli la costituzione di una sorta di senato di giudici così da decentrare l’amministrazione della giustizia per il popolo (Esodo 18). Da allora Mosè proseguì nel deserto portando con sé Zippora e i due figli.

Ma la figura della moglie straniera – come accade talvolta anche nelle nostre famiglie quando un figlio sposa un’asiatica o un’africana – suscitò una certa ostilità in Maria e Aronne, sorella e fratello di Mosè, come si narra nel libro dei Numeri (12,1). In quel passo Zippora è detta “etiope”, forse a causa del colore della sua pelle e delle sue origini straniere. Dio prenderà la difesa di Mosè e della sua donna, colpendo i due fratelli con il suo giudizio (si legga il capitolo 12 dei Numeri). Il Signore si schierava, dunque, dalla parte di una straniera che, significativamente, era la consorte dell’uomo simbolo dell’ebraismo, la grande guida dell’esodo Mosè.


07.09.2017



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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