La sequenza di giovani donne che facciamo salire alla ribalta nella nostra rubrica, conferma quanto la Bibbia sia una storia in cui Dio rispetta la libertà umana, ma la giudica quando degenera nel peccato. Ancora una volta è in scena un crimine odioso, la violenza sessuale. Esso, come vedremo, trascina un’onda di altri delitti. Ora, però, risaliamo alle origini di Israele, al tempo dei patriarchi e alla storia che riguarda Giacobbe e una sua figlia, Dina, che egli aveva avuto dalla sua prima moglie, Lia.
 La vicenda drammatica è narrata nel capitolo 34 del libro della Genesi. Giacobbe era stato costretto a migrare esule per un lungo periodo a causa dell’ira del fratello Esaù che egli aveva ingannato soffiandogli il diritto di primogenitura. Ora sta rientrando nella sua terra, sperando che la tensione col tempo si sia placata. Il clan è in marcia verso il Sud della Terrasanta e si accampa nei pressi di Sichem, una città posta nella regione centrale, la futura Samaria. Come accade ancor oggi, la giovane Dina un giorno si era recata in quella città per incontrare e conoscere altre sue coetanee e divertirsi con loro.
 E là era accaduto un fatto inatteso. Forse perché straniera, la ragazza era stata notata dal figlio del principe della città, il cui nome era lo stesso di quello della città, Sichem. Era stato un colpo di fulmine: egli si era innamorato, l’aveva corteggiata e alla fine conquistata, violentandola. Dopo questo atto sessuale brutale, il suo desiderio era però di sposarla. Ma Giacobbe e i fratelli di Dina, saputa la notizia, si erano indignati per quello che essi consideravano non solo uno stupro, ma soprattutto una violazione delle norme procedurali matrimoniali dell’antico Vicino Oriente.
 Nonostante la buona volontà del padre di Sichem che aveva subito aperto il procedimento per legalizzare l’unione avviando una trattativa con Giacobbe, i fratelli di Dina covavano il desiderio di vendicare l’affronto. Così escogitarono un tranello. Imposero come condizione che Sichem e i maggiorenti della città si circoncidessero, per avere un’omogeneità culturale e religiosa con loro. Il principe Sichem accolse questa proposta e convinse «quanti avevano accesso alla porta della sua città», cioè i notabili e i guerrieri perché la “porta” era il nostro municipio o palazzo comunale e di governo.
 A questo punto era scattata la brutale vendetta dei fratelli di Dina, un vero e proprio delitto d’onore. Ascoltiamo il racconto biblico: «Il terzo giorno, quand’essi erano sofferenti [per il taglio della circoncisione], i due figli di Giacobbe, Simeone e Levi, i fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, entrarono indisturbati nella città e uccisero tutti i maschi. Passarono così a fil di spada Camor e suo figlio Sichem, portarono via Dina dalla casa di Sichem e si allontanarono. I figli di Giacobbe si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città» (34, 25-27).
 Giacobbe reagì a questa strage, consapevole che sarebbe scattata la ritorsione da parte delle tribù collegate ai Sichemiti, e fu costretto a trasferirsi col suo clan altrove. Anche in punto di morte ricorderà con asprezza la violenza di Simeone e Levi: «Strumenti di violenza sono i loro coltelli… Maledetta la loro ira, perché violenta, e la loro collera, perché crudele!» (Genesi 49, 5-7). È curioso notare che Dina non dice una parola: è questo il segno di quei tempi (ma non solo!) in cui il maschio imperava e la donna era solo una suddita silenziosa e obbediente.
 																			
										31.08.2017
										
																		
						
																		
									Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana