La storia di una vocazione fallita

«In ogni uomo, in ogni ora del giorno vi sono come due pulsioni simultanee e opposte, una verso Dio e una verso Satana». Così confessava il grande poeta francese Charles Baudelaire nella sua opera Il mio cuore messo a nudo. Egli, purtroppo, si lascerà tentare spesso dalla voce diabolica, andrà alla deriva nelle droghe, nell’alcol, nelle spese folli, in amori stravaganti, fino a chiudere la sua vita a 46 anni nel 1867. Ebbene, uno dei richiami satanici più sottili è quello dell’idolatria della ricchezza.

Quella che ora proponiamo è appunto la storia di una vocazione fallita proprio per il prevalere di un richiamo così forte, capace di annullare la voce di Dio. Ci riferiamo a un noto racconto evangelico che ha per protagonista un giovane ricco che accorre da Gesù per apprendere da lui la via che conduce alla vita vera ed eterna. Sia Matteo (19,16-22), sia Marco (10,17-22), sia Luca (18,18-23) hanno conservato memoria di questo incontro e del suo esito fallimentare.

Seguiamo la relazione della vicenda offerta dall’evangelista Marco. Gesù propone come base necessaria per la vita spirituale l’osservanza del Decalogo che esemplifica in alcuni comandamenti. Il giovane con sincerità confessa di essere stato sempre fedele a quei precetti e di aver condotto una vita morale, pura e corretta. A questo punto l’evangelista ha una notazione suggestiva: «Gesù fissò lo sguardo su di lui e lo amò». La chiamata non è mai un freddo appello divino, ma è un’elezione personale, segnata da un legame affettuoso e intimo.

UNA DONAZIONE IN PIENEZZA. È allora che Cristo avanza la sua richiesta, che è la base per fare di quel giovane non più soltanto un bravo ragazzo ma un discepolo: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo. Poi vieni e seguimi!». Si noti che Matteo rende così la frase di Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi... » (19,21). Non è, però, l’ingresso in una categoria di “perfetti”, superiori ai cristiani normali. Tutti i discepoli di Cristo sono chiamati non al minimo, ma a una pienezza di donazione.

LA GRANDE SCELTA. Per questo l’appello di Gesù è radicale ed esige un taglio netto che elimini il compromesso. Si noti anche che egli non chiede un distacco pauperista, che impone la pura e semplice spoliazione dei beni. Le ricchezze, infatti, devono essere investite perché possano sostenere i poveri, divenendo testimonianza di carità. Sta ora al giovane la grande scelta, perché abbiamo spesso sottolineato che ogni vocazione comporta una risposta libera e volontaria.

La finale del racconto è, nella sua tonalità malinconica, illuminante, perché delinea in modo incisivo sia il dramma di quel giovane, sia la sua decisione che sancisce il fallimento della sua vocazione: «Alle parole di Gesù egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato: possedeva infatti molti beni» (10,22). L’ultima frase è il suggello inesorabile a una storia iniziata in modo solare e che ora finisce sotto il fascino oscuro delle ricchezze.


14.06.2018



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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