La vittima di un voto

Nessun giovane è veramente convinto di dover un giorno morire». Questa considerazione dello scrittore inglese William Hazlitt (17781830) è tragicamente smentita dalla storia biblica che stiamo per evocare. Essa inizia una serie di ritratti giovanili femminili, spesso drammatici. Infatti, in una società antica a matrice patriarcale e quindi maschilista, a essere vittime erano soprattutto le donne. Della ragazza di cui parleremo ignoriamo anche il nome. Ci rimane quello di suo padre dalla biografia tutt’altro che limpida e serena, Iefte. La sua era stata una giovinezza brutale: figlio di una prostituta e di un padre che si era sposato con un’altra donna, era stato cacciato di casa dai suoi fratellastri. Si era, così, dato al brigantaggio,compiendo scorrerie nella sua regione e più a sud (egli era di Galaad in Transgiordania). Un giorno,però,la sua vita aveva avuto una svolta: i suoi connazionali decisero di nominarlo “giudice”, ossia governatore, perché erano sotto la pressione di una forte e ostile popolazione confinante, gli Ammoni-ti. Un uomo spregiudicato come Iefte avrebbe colpito senza remore il nemico). Dopo qualche riserva iniziale,Iefte decise di sferrare il suo attacco. Prima, però, da uomo un po’ rozzo, volle fare a Dio uno strano voto per assicurarsi la sua protezione: «Se tu mi metti nelle mani gli Ammoniti, la persona che uscirà per prima dalle porte di casa mia per venirmi incontro,quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io l’offrirò in olocausto» (Giudici 11,3031).La vittoria fu clamorosa. Ma a questo punto accadde una tragedia che ebbe come protagonista proprio la giovane figlia di Iefte e che diventerà poi la sostanza tematica di un gioiello della musica barocca,il famoso oratorio Jephtedi Giacomo Carissimi, eseguito per la prima volta nel 1650. Ascoltiamo il racconto del libro dei Giudici: «Dopo la battaglia Iefte tornò a Mispa, a casa sua; ed ecco uscirgli incontro la figlia,con tamburelli e danze. Era l’unica figlia: non aveva altri figli né altre figlie. Appena la vide, si stracciò le vesti e disse: Figlia mia, tu mi hai rovinato!...Io ho dato la mia parola al Signore e non posso ritirarmi» (11,3435).Nella sua religiosità primitiva egli sapeva che il voto era intangibile, nonostante l’oggetto immorale che avrebbe potuto invalidarlo. Impressiona la compostezza della figlia: «Padre mio,se hai dato la tua parola al Signore,fa’ di me secondo quanto è uscito dalla tua bocca» (11,36). Una sola cosa la ragazza chiede, poter piangere il suo tragico destino di morire senza lasciare un figlio che avrebbe ricordato il suo nome e ne avrebbe continuato la discendenza: «Lasciami libera per due mesi, perché io vada errando per i monti a piangere la mia verginità con le mie compagne... Alla fine dei due mesi tornò dal padre ed egli compì su di lei il voto che aveva fatto». Tuttavia il ricordo di questa giovane vittima di una religiosità degenerata sarà ricordato: infatti, in finale di racconto,la Bibbia cita l’usanza delle «fanciulle di Israele di piangere per quattro giorni ogni anno la figlia di Iefte» e la sua fine drammatica (11,3740). Concludiamo con la voce di un celebre poeta che confessa di non aver vissuto la sua gioventù, sia pure in forma ben diversa dall’infelice figlia di Iefte. È il Leopardi delle Ricordanze: «E intanto vola / il caro tempo giovanil; più caro / che la fama e l’alloro,/ più che la pura / luce del giorno,e lo spirar; ti perdo / senza un diletto,inutilmente,in questo / soggiorno disumano,intra gli affanni, / o dell’arida vita unico fiore».


04.08.2017



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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