Le trecce di Sansone simili ai raggi del sole

Siamo in estate; proponiamo allora ai nostri lettori una storia di vocazione che potremmo definire “solare”. Sì, perché l’eletto di Dio che mettiamo in scena è Sansone, il cui nome evoca proprio shemesh, in ebraico “il sole”. Il luogo di origine è Bet-Shemesh, “la casa del sole”; come il sole egli incendia le messi; i suoi capelli, segno della sua straordinaria forza, raccolti in sette trecce, sono simili ai raggi solari, mentre la sua amante-nemica Dalila rimanda nel nome all’ebraico lajlah, “la notte”.

La vicenda di questo «giudice», cioè governatore di Israele in un’epoca difficile – dato l’incombere dei potenti avversari, i Filistei – è narrata nei capitoli 13-16 del libro biblico dei Giudici. È una storia striata di elementi mitici e folclorici e ha all’origine una vocazione mediata da una nascita eccezionale. Essa, infatti, segue i canoni delle natività di personaggi rilevanti nella storia della salvezza: il figlio è concepito da una madre sterile, per cui è un dono divino, come è annunciato da un angelo del Signore a sua madre, moglie di un certo Manoach della piccola tribù di Dan.

Il bambino riceve, perciò, prima ancora della sua nascita, una vocazione gloriosa. Curiosamente dovrà adottare una dieta simbolica, evitando alcolici e cibi non codificati dalla legge biblica (un impegno analogo sarà richiesto all’Emmanuele, la figura messianica descritta nel capitolo 7 del libro di Isaia). Inoltre dovrà assumere il voto del «nazireato», dall’ebraico nazir, “consacrato”, comprendente l’obbligo del non taglio dei capelli come segno della dedizione della propria virilità (la capigliatura) e, quindi, della sua persona a Dio.

AZIONI MIRABOLANTI. È, dunque, una chiamata a essere un consacrato per una missione fin dal grembo materno, una missione che si esplica in una serie di azioni mirabolanti, simili alle fatiche di Ercole, che si leggeranno con gusto nelle pagine bibliche sopra citate. Ma la storia di questa vocazione aureolata di luce e di gloria ha alla fine uno sbocco misero e fin tragico. Lasciandosi irretire dalla sua amante Dalila, spia filistea, Sansone tradirà il suo voto, perdendo così la sua identità spirituale e violando la sua missione.

La donna, infatti, «fece addormentare Sansone sulle sue ginocchia, chiamò un uomo e gli fece radere le sette trecce dal capo. Egli cominciò a indebolirsi e la sua forza si ritirò da lui» (16,19). Da quel momento sarà solo un fenomeno da baraccone, trasferito dai Filistei nel tempio del loro dio Dagon, umiliato durante una festa pagana come oggetto di attrazione, famoso per la sua forza passata e ora ridotto a uno zimbello.

Ma alla fine Sansone riscatterà la sua vocazione tradita e implorerà il vero Dio: «Signore, ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto!». La sua supplica è accolta e, ridotto a essere un povero e umile prigioniero accecato dalla tortura, verrà da Dio riportato alla sua originaria missione di “salvatore” di Israele dai Filistei: «Sansone palpò le due colonne di marmo, sulle quali si ergeva il tempio. Si appoggiò a esse..., si curvò con tutta la sua forza e il tempio rovinò addosso ai capi e a tutto il popolo che vi era dentro» (16,28-30).


28.06.2018



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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