Nella notte una voce

Abbiamo spesso ricordato che – come suppone la radice alla base della parola «vocazione» – alla sorgente di una chiamata c’è una «voce» che risuona nella coscienza di una persona. Essa può echeggiare nella notte, quando brilla solo una piccola lampada, come accade al giovane Samuele che sta dormendo nel santuario di Silo, retto dal sacerdote Eli. La storia di questo ragazzo era iniziata anni prima, attorno al 1050 a.C., ed è narrata nelle pagine iniziali del Primo Libro di Samuele: la sua venuta al mondo da una madre sterile era stata un puro e semplice dono divino, frutto della preghiera insistente e appassionata di questa donna di nome Anna.

Noi, però, ci fermeremo ora solo su quella notte squarciata da una voce misteriosa che interpella improvvisamente questo ragazzo assonnato (1Samuele 3). Egli non riesce a identificare la matrice di quella voce, anche perché – annota l’autore sacro – «in quei giorni la parola del Signore era rara», e Dio si rivelava distante da un popolo non certo sensibile alla fede e alle sue esigenze, come attestava il comportamento corrotto dei figli del sacerdote Eli. Samuele, perciò, pensa spontaneamente che quel grido notturno venga dal vecchio sacerdote, suo maestro.

La voce che chiama risuona per tre volte, scuotendo questo giovane che ignorava la possibilità stessa che l’appello venisse da un orizzonte diverso da quello in cui si snodavano i suoi giorni di “seminarista”, per usare un nostro termine. Alla terza chiamata, però, il saggio Eli comprende la vera natura della voce che risveglia Samuele e rivela la sua anima di educatore che non si sostituisce all’eletto ma lo guida all’incontro: «Se ti chiamerà ancora, dirai: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta!».

Da quel momento Samuele stesso, interpellato per la quarta volta, diventa parola di Dio, è costituito suo profeta, e la missione si manifesta subito in un oracolo di giudizio. I ruoli si invertono: finora il giovane era stato discepolo di Eli, tant’è vero che correva subito da lui di fronte all’esperienza inedita vissuta in quella notte; ora, invece, sarà il suo maestro ad ascoltare il messaggio divino perché d’ora innanzi sarà solo il Signore la guida e il protettore di Samuele.

L’ordito del racconto di questa vocazione è graduale, è una scoperta progressiva che comporta diverse tappe incomprese dal chiamato. Non è un taglio unico, netto e assoluto come la via di Damasco dell’apostolo Paolo. È piuttosto una lezione che conduce, anche attraverso lentezze e fallimenti, dall’incomprensione all’intelligenza della meta a cui la chiamata conduce. Ci può essere persino una fase di disillusione: è curioso notare che nella seconda replica dell’appello divino e della reazione di Samuele l’autore sacro non usi più il verbo “correre” come nelle altre tappe, ma il più normale “andare”, quasi che il giovane si trascinasse senza convinzione alla ricerca dell’identità di quella voce notturna.

È, questa, una storia di vocazione che registra, come sempre, l’intreccio tra la chiamata efficace divina e la risposta legata alla libertà e alla comprensione umana. E l’avventura in cui il giovane è coinvolto sarà enorme e grandiosa: Samuele, infatti, dovrà deporre re, spingere il popolo a battaglie, scontrarsi con il potere ed essere coscienza dell’intera nazione. Un sapiente biblico, il Siracide, quasi nove secoli dopo, gli dedicherà un ritratto glorioso (46,13-20), con questo cammeo significativo: «Prima dell’ora del suo sonno eterno Samuele attestò davanti al Signore e al suo Messia: “Né denari né sandali ho preso da nessuno” » (46,19).


19.07.2018



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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