Parenti serpenti

«Errare è umano, perdonare è divino». È suggestiva questa battuta dell’autore inglese Alexander Pope. Noi la adottiamo come epigrafe ideale di una storia biblica che ha conquistato i secoli, quella di Giuseppe l’egiziano. La vicenda è narrata nei capp. 37-50 del libro della Genesi ed è una dimostrazione esemplare del tema che stiamo sviluppando: la relazione tra famiglia e misericordia. Lo è al negativo nella prima parte quando si ramifica nella famiglia di Giacobbe quella zizzania che è l’invidia tra fratelli, sorgente di odio e di cattiveria.
Questo antipodo della misericordia è molto famoso, soprattutto quando i fratelli si caricano di odio fratricida che per fortuna sfocia solo nella vendita di Giuseppe come schiavo. Questi parenti- serpenti non esitano anche a gettare nella disperazione il loro vecchio padre facendogli credere che il figlio è stato sbranato da una belva. In realtà, bestie feroci si erano rivelati proprio loro che non temevano di procedere a un fratricidio, come già era accaduto nella storia di Abele e Caino.
Noi, però, vogliamo puntare la nostra attenzione sull’aspetto positivo, la lezione che Giuseppe – dopo le alterne vicende che lo hanno condotto a diventare vizir d’Egitto – impartisce loro testimoniando un cuore misericordioso e generoso. Certo, egli non ignora la necessità della giustizia correttiva: attraverso alcune prove guida i suoi fratelli al pentimento e alla conversione. È a questo punto che egli fa scattare il perdono e la misericordia. Anzi, egli inserisce l’avventura da lui vissuta all’interno di un disegno divino provvidenziale, approdato alla salvezza dell’intera famiglia di Giacobbe e dei suoi figli.
Ascoltiamo le sue parole nell’istante emozionante del riconoscimento: «Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nella terra e per farvi vivere per una grande liberazione. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio» (Genesi 45,4-8). Dopo questo svelamento che lascia basiti i suoi fratelli, egli li abbraccia e bacia piangendo.
Nella sua visione così coraggiosa il crimine dei fratelli si trasforma nel tassello di una trama più grande e gloriosa, quella della salvezza non solo di una famiglia ma del futuro popolo di Dio. Sant’Ambrogio commentava: «Che amore fraterno, che dolce paternità: scusare anche il delitto di fratricidio dicendolo opera della divina provvidenza e non dell’umana empietà!». Giuseppe ci invita ad adottare non la forza della vendetta, ma la potenza dell’amore e del perdono misericordioso. E a scoprire la mano di Dio in azione dove a prima vista sembrerebbe essere all’opera solo la mano omicida dell’uomo. Cerchiamo, perciò, di scoprire anche all’interno delle amarezze e cattiverie delle nostre famiglie una possibilità segreta di redenzione che solo Dio può compiere, lui che può convertire il male in bene.


30.03.2016



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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