Quell’indice puntato che cambia la vita

È nella quinta cappella a sinistra della chiesa romana di San Luigi dei Francesi che si incontrano tre tele che il pittore Caravaggio tra il 1599 e il 1602 ha dedicato all’apostolo Matteo, la cui festa è nel calendario liturgico il 21 settembre. La pala dell’altare raf‘figura l’angelo che “ispira” l’evangelista, mentre una tela laterale evoca il suo martirio. Ma è soprattutto l’altra, di 3,22 per 3,40 metri, a essere indimenticabile.

La scena è quella della vocazione: Cristo, illuminato dalla luce radente di una ‘finestra posta alle sue spalle, punta l’indice – citazione dell’indice del Creatore che sveglia Adamo nel celebre affresco michelangiolesco della Sistina – su uno stupefatto e sconcertato Matteo seduto al banco della dogana di Cafarnao. Quell’istante che aveva radicalmente mutato la sua esistenza è narrato dall’evangelista in un solo versetto, caratterizzato dal fatto di indicare il nome del protagonista come Matteo e non Levi, a differenza del racconto parallelo di Marco e Luca: «Gesù vide un uomo chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: Seguimi! Ed egli si alzò e lo seguì» (9,9).

Una vocazione simile a quella di Abramo, di stampo quasi “militare”: un ordine («seguimi!») a cui segue la pronta e immediata esecuzione («si alzò e lo seguì»). Quel funzionario, come accadrà a un suo collega, Zaccheo, ha la vita stravolta da quell’indice rivolto verso di lui e dall’imperativo di Gesù. Forse portava due nomi, quello della tribù di Levi e quello personale di Matteo (“dono del Signore”). Da esattore delle tasse per l’impero romano era, così, divenuto apostolo di Gesù di Nazaret.

Egli non aveva, però, dimenticato la sua antica professione quando, elencando a coppie i Dodici, aveva presentato «Tommaso e Matteo il pubblicano » (10,3). Tuttavia nel suo Vangelo egli dimostra di avere una competenza biblica particolare (evoca almeno 63 citazioni scritturistiche) e conosce le tradizioni giudaiche. Forse, prima di fare carriera nell’ambito burocratico, si era “laureato” come scriba e il suo autoritratto potrebbe essere identi‘ficato in queste parole messe da lui in bocca a Gesù: «Ogni scriba, divenuto discepolo del Regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (13,52). Subito dopo il racconto della sua vocazione, Marco e Luca in modo diretto (Matteo implicitamente) lo descrivono mentre invita Gesù a casa per un banchetto con i suoi colleghi, rivelando così la sua scelta di condividere la sua vicinanza a chi lo aveva chiamato.

E sarà proprio in questo contesto che scatterà la critica altezzosa degli scribi e dei farisei, pronti a denunciare le cattive frequentazioni di Cristo proprio con i «pubblicani» e i peccatori. La replica di Gesù diventa, allora, il suggello della vocazione di Matteo, accolto sotto il manto della misericordia amorosa di Dio, che ignora il passato quando vede il cuore aperto al bene.

Infatti, citando il profeta Osea (6,6), il nuovo Maestro di Matteo dichiara: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifi‘cio. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (9,12-13). Matteo Levi – però – non sarà solo un convertito, né solo un chiamato a essere discepolo di Gesù, ma sarà anche uno dei dodici apostoli e un evangelista.


13.09.2018



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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