TÔB: buono, bello, utile

Il termine nella Bibbia registra uno spettro molto variegato di sfumature. L’accezione primaria, tuttavia, esprime il bene in opposizione al male, come appare nel libro della Genesi

Pochi sanno che la nostra parola «bello» (che non deriva ovviamente dal latino bellum, «guerra») è frutto di una semplificazione dell’aggettivo medievale «bonicello»: bellezza e bontà s’intrecciano quindi tra loro. È ciò che accade anche nel vocabolo ebraico che ora consideriamo: nell’Antico Testamento ci si imbatte per 741 volte nell’aggettivo tôb (si pronuncia anche tôv) e il suo significato oscilla appunto tra «buono» e «bello», per cui bontà e bellezza, etica ed estetica sono due volti della stessa realtà.

In verità, tôb registra uno spettro molto variegato di sfumature, tant’è vero che l’antica versione greca della Bibbia detta «dei Settanta» usava almeno tre diversi aggettivi: oltre all’ovvio agathós, «buono», e a kalós, «bello», aggiungeva anche chrestós, «utile», introducendo anche l’aspetto pratico. Certo è che, se si sfogliano i vari vocabolari di ebraico, si vede dispiegarsi un ventaglio colorato di significati ulteriori, come piacevole, gustoso, soave, dolce, proporzionato, ma anche giusto, onesto, benevolo, clemente, valoroso e così via.

Uno dei passi emblematici è la prima pagina della creazione (Genesi 1,1-2,4), ove ci imbattiamo nel settenario di una formula detta «di approvazione» da parte di Dio della sua opera: «Dio vide che era tôb», che nel caso della creatura umana si trasforma in un superlativo, tôb me’od (1,4.10.12.18.21.25.31). La traduzione comune suona così: «Dio vide che era cosa buona/molto buona». In realtà, dato che si rimanda al «vedere» divino, sarebbe altrettanto corretta (se non migliore) la versione: «Dio vide che era una cosa bella» o anche «Dio vide: era bello!».

Si ha, dunque, un apprezzamento non solo funzionale o morale ma estetico, come accade a chi contempla un panorama affascinante. Anche se questo atteggiamento è raro nella Bibbia, preoccupata di unire bontà, bellezza e utilità del creato, non mancano pagine in cui si esalta il fascino della natura, come è possibile scoprire in un inno stupendo del Siracide che suggeriamo alla lettura (42,15- 43,33). Il sapiente biblico fa scorrere il sole, la luna, le stelle, i fulmini, la grandine, i venti, i tuoni, la neve, la brina, il gelo, l’estate infuocata, il mare per concludere che «ogni opera supera la bellezza dell’altra».

Questo, però, non deve far dimenticare che l’accezione primaria di tôb è «buono», e quindi è espressione del bene in opposizione al male, come appare ancora all’origine dell’umanità. L’uomo e la donna sono posti all’ombra dell’albero simbolico della «conoscenza del bene (tôb) e del male» (Genesi 2-3). Il serpente tentatore ribadirà che, mangiando di quel frutto, «si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene (tôb) e il male» (3,5).

Risuona, allora, forte la condanna del profeta Isaia: «Guai a coloro che chiamano bene (tôb) il male e male il bene (tôb)» (5,20). È quell’inversione dei valori che devasta la moralità anche ai nostri giorni. Concludendo, possiamo dire che la Bibbia esorta a incrociare la cura della bellezza con la limpidità della coscienza, lo splendore della natura con la voce del suo Creatore («Dalla bellezza e grandezza delle creature per analogia si contempla il loro artefice», (Sapienza 13,5), il bel canto a Dio con arte (Salmo 47,8) con le opere buone perché «chi è buono (tôb) d’animo sarà benedetto: egli dona, infatti, del suo pane al povero» (Proverbi 22,9).


29.07.2021



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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