Un banchetto sontuoso

Ancor oggi quando si deve celebrare una festa nuziale, tra gli impegni di una famiglia brilla il pranzo solenne da offrire a parenti e amici. Anche se talora a dominare è l’esteriorità, non bisogna ignorare il valore simbolico che in tutte le civiltà riveste il banchetto. Tanto che lo stesso evento messianico è raffigurato da Isaia come «un banchetto di grasse vivande, di vini eccellenti, di cibi succulenti e di vini raffinati» imbandito dal Signore stesso sul monte Sion (Isaia 25,6).
Anche Gesù si allinea a tale tradizione. Perciò, per sviluppare il tema della nostra rubrica, ci affidiamo proprio a una parabola nuziale di Gesù presente in Matteo (22,1-14) e ripresa da Luca con alcune varianti e semplificazioni (14,16- 24). In una famiglia reale il sovrano sta allestendo la festa di nozze per suo figlio, mobilitando tutta la servitù e approntando la lista degli invitati, ma a sorpresa, con le più disparate scuse o pretesti, il banchetto nuziale corre il rischio di andare deserto. Scatta allora l’atto di generosità misericordiosa di quel re, desideroso di avere lo stesso una folla che festeggi suo figlio e la sua sposa. Non sarà più l’aristocrazia o la borghesia commerciale ma la gente semplice e povera. Luca è esplicito nell’elencare queste persone: «Esci per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi» (14,21). Ma l’immenso salone del palazzo ha ancora posti vuoti ed ecco un secondo ordine: «Esci per le strade e lungo le siepi e costringili a entrare, perché la mia casa si riempia» (14,23).
Questo atto di generosità, che dovrebbe diventare un modello per i cristiani, ha un risvolto finale sorprendente nel Vangelo di Matteo: l’espulsione dell’ospite senza abito nuziale (22,11- 14). La misericordia, infatti, non esclude la giustizia personale. Pensiamo, se vogliamo fare una libera applicazione, alla corruzione che si insinua spesso nell’assistenza pubblica ove non mancano gli approfittatori che strappano di bocca ai poveri quanto è necessario per vivere, per coltivare il loro benessere.
La parabola ha tanti altri significati simbolici. Si intuisce che il re è Dio, il banchetto è la felicità messianica, il figlio del re è il Messia, i servi sono i profeti e gli apostoli, gli invitati sprezzanti col loro rifiuto sono quei giudei che non hanno accolto Gesù, i poveracci che li sostituiscono sono i peccatori e i pagani, l’ospite senza veste è l’ipocrita che verrà sottoposto al giudizio finale. Tuttavia rimane vivo quell’appello ad aprire le porte di casa agli ultimi e ai dimenticati.
È un’opera di misericordia praticata da tante persone generose che si preoccupano dei senza tetto, dei profughi, degli emigranti, delle famiglie povere. Nella tradizione giudaica quando si celebra la cena pasquale, la famiglia deve tener socchiuso l’uscio di casa perché, se dovesse venire il Messia, potrebbe essere accolto a mensa. Ma è facile che un povero, sentendo le voci festose e odorando gli aromi dei cibi, possa essere tentato di accostarsi a quella porta. Ebbene, sarà come aver accolto il Messia in quel misero affamato.


13.10.2016



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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