Un comandante giovane e inesperto

«Signore mio, come salverò Israele? Ecco, la mia famiglia è la più povera della tribù di Manasse e io sono il più piccolo della casa di mio padre». Questa è la risposta che dà Gedeone all’angelo che gli vuole conferire, a nome di Dio, l’investitura a guida dei combattenti per la liberazione di Israele dall’oppressione dei Madianiti, un popolo imparentato con gli Ebrei (discendeva anch’esso da Abramo e madianita era Zippora, la moglie di Mosè) ma divenuto uno dei suoi fieri avversari. Il racconto della vicenda di questo giovane che assurgerà poi alla carica di condottiero militare delle tribù ebraiche è presente nei capitoli 6-7 del libro biblico dei Giudici, pagine molto vivaci che si leggeranno con gusto.

Noi, però, ci fermeremo sull’età giovane e l’inesperienza di Gedeone, il cui nome significa probabilmente “tagliatore” di alberi e arbusti, segno dell’attività agricola della sua modesta famiglia, appartenente a una tribù non particolarmente esaltata nella Bibbia. È, infatti, attraverso l’immaturità del protagonista che si illustra una tesi che sarà attestata anche in altre figure di giovani. Come è evidente anche nel caso clamoroso del re Davide, Dio non sceglie la persona potente, capace, matura, bensì l’ultimo o il secondo (si pensi a Giacobbe rispetto a Esaù). Si dimostra, così, l’asserto che san Paolo formalizzerà nella Prima Lettera ai Corinzi: «Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti, quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono» (1,27-28).

È, dunque, il primato dell’opera di Dio a decidere le sorti della storia, ed è a questa legge che si adatta la curiosa strategia di un giovane e inesperto comandante come Gedeone. Infatti, di fronte alla massa degli Ebrei pronti a combattere i Madianiti, egli ne licenzia subito 22.000. Ne rimangono ancora 10.000: tra costoro ne seleziona solo 300 attraverso una particolare prova, quella del saper conservare calma e dignità quando la sete brucia la gola. Solo così, con pochi e scelti combattenti, egli si affida alla protezione divina, evitando che «Israele si vanti dicendo: La mia mano mi ha salvato!» (Giudici 7,2).

Gedeone scatena l’attacco all’accampamento madianita a notte fonda. Divide il suo plotone in tre gruppi e punta soprattutto sull’effetto sorpresa. I combattenti, infatti, non ricorrono subito alle armi quanto piuttosto a un effetto psicologico: recano in mano una tromba e brocche contenenti fiaccole. A un ordine del capo, «le tre schiere suonarono le trombe, spezzarono le brocche, innalzarono le fiaccole..., urlando: La spada per il Signore e per Gedeone!» (7,20-22). Risvegliati di soprassalto, i Madianiti si agitarono e si dispersero, colpendosi persino tra loro nel buio della notte, squarciato dalle fiamme sinistre dei nemici.

Abbiamo, dunque, un giovane che rivela una straordinaria intelligenza militare ma anche una fede sicura e, alla fine, una dote di vera sapienza e umiltà. Conquistati dal suo successo, gli Israeliti si presentano a Gedeone per acclamarlo re. Ma egli, ancora una volta consapevole della sua realtà di giovane semplice e modesto, reagirà con fermezza: «Io non regnerò su di voi né mio figlio regnerà. Solo il Signore regnerà su di voi!» (8,23). Potremmo liberamente immaginare l’ormai vecchio Gedeone esprimere ai suoi figli gli stessi sentimenti che nel 1967 testimonierà lo scrittore Giovanni Guareschi: «Posseggo un grosso capitale che nessuna inflazione, nessuna rivoluzione potrà mai portarmi via: il ricordo vivo di una giovinezza interamente vissuta e mai tradita».


12.01.2017



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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