Una coppia avara

Presenteremo questa volta il comportamento di una coppia di sposi aspramente condannato nel capitolo 5 degli Atti degli Apostoli, la seconda opera lucana. Possiamo, così, illustrare in negativo il tema della misericordia che ormai da mesi stiamo sviluppando nel suo nesso con la vita familiare. Per comprendere la colpa dei due protagonisti bisogna prima di tutto ricostruire una sorta di fondale spirituale in cui era immersa la prima comunità cristiana di Gerusalemme.
Poche righe prima della storia di quella coppia si legge che «la moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune… Nessuno tra loro era bisognoso perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno» (4,32-35). Ebbene, che cosa fecero Anania e Saffira, gli sposi di cui stiamo parlando?
Il marito Anania – un nome ebraico molto diffuso (almeno dieci personaggi biblici lo portano) il cui significato è “Il Signore mi ha concesso la sua grazia” – decide di vendere un podere ma, d’intesa con la moglie Saffira (il nome è quello di una pietra preziosa azzurra, sia il nostro “zaffiro” sia il “lapislazzulo”), tiene per sé una parte dell’importo ricavato, mentre il resto lo consegna agli apostoli per la destinazione comune. Si violava, così, quella norma di piena comunione dei beni che reggeva la Chiesa gerosolimitana.
San Pietro s’accorge dell’inganno e reagisce con veemenza: «Anania, perché mai satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno?» (5,3). La condanna ha uno sbocco terrificante, sul modello di certi giudizi divini anticotestamentari: «Anania cadde a terra e spirò» (5,5). Certo, come ha fatto notare un esegeta, è un po’ strano che “la buona novella” del Vangelo si attui proprio con un miracolo di morte, al contrario di quanto aveva fatto Cristo.
Tra l’altro, la vicenda si ripete anche per la moglie Saffira che, ignara dell’accaduto, si presenta tre ore dopo, ribadendo la stessa versione: essa riceve la stessa condanna, spirando ai piedi di Pietro (5,7-10). La scena può anche avere un suo valore storico, forse basato sulla morte improvvisa di due coniugi cristiani, “chiacchierati” per un loro comportamento egoistico. Tuttavia, agli occhi di Luca e secondo lo stile biblico, la vicenda ha soprattutto un valore simbolico. Chi viola per smania di possesso e per egoismo il precetto dell’amore misericordioso e generoso nei confronti del prossimo è uno “scomunicato”, è come se fosse morto per la comunità, è fuori dal cerchio vitale della comunione ecclesiale e della grazia divina. Un appello severo che, però, non cancella la costante certezza che la Bibbia dichiara riguardo alla conversione-rinascita e al perdono-risurrezione.


14.04.2016



Testo a cura del cardinale arcivescovo e biblista Gianfranco Ravasi. Integralmente riprodotto per la discussione e la riflessione. Fonte: Famiglia Cristiana

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